Con la Brexit, il reset dell’intero corpus giuridico normativo in materia e l’uscita definitiva della Gran Bretagna dal territorio doganale e fiscale UE stanno rivoluzionando gli scambi economici d’oltremanica
In meno di otto anni si è passati dall’entusiasmo al rimorso: dopo aver votato a favore dell’uscita dalla UE, ora gli inglesi non sono più così sicuri di aver fatto la scelta giusta. La progressiva applicazione di questa scelta epocale si sta rivelando critica, complicata e penalizzante sia per la Gran Bretagna che per i suoi fornitori di beni e servizi. A subirne maggiormente gli effetti sono le imprese, ma a patirne i costi sono anche i consumatori. Non è cosa da poco riprendere il pieno controllo sulle politiche commerciali, di immigrazione e sulla normativa relativa all`import/export degli alimenti. Perdipiù, se si tratta di un Paese di 67 milioni di abitanti che di food è un importatore nettoi. Infatti solo il 58% del cibo consumato nel Regno Unito è realizzato internamente contro ben il 42% che è importato generando un giro d`affari superiore ai 61 miliardi di sterline. Il 73% di questo flusso di import proviene dall`UE, con l`Italia quale settimo fornitore di agrifood con una quota di mercato del 6,5% nel 2023 (fonte Qualivita su dati ICE).
>> Consulta il report “Effetto Brexit sul settore DOP IGP italiano” di Fondazione Qualivita <<
A 4 anni di distanza, secondo un sondaggio del quotidiano The Independent, la maggioranza dei cittadini britannici prova una sorta di “Bregret“, e cioè di rimorso per aver votato nel 2016 a favore della Brexit perché ha contribuito ad aggravare la crisi economica nel Regno Unito. I numeri del resto parlano chiaro: secondo il Centre for Economic Performance della London School of Economics, l`uscita dalla UE avrebbe aggiunto, fino a fine 2023, quasi 6 miliardi di sterline alle spese alimentari dei sudditi di Sua Maestà, specie di quelli più svantaggiati economicamente, da sempre inclini a destinare all`acquisto di cibo quote maggiori del proprio reddito rispetto alle fasce più abbienti (circa 1`11%). La causa? L`aumento del +6% in due anni del prezzo degli alimenti, che si sono tradotti almeno fino al 2021, in un aggravio di 210 sterline della spesa alimentare media a parità di carrello.
Controlli alle frontiere, oneri doganali, procedure burocratiche, aumento dei tempi di trasporto hanno innalzato inevitabilmente i costi di barriera non tariffaria (NTB, Non-Tariff Barriers), con effetti sulle imprese sia comunitarie sia britanniche. Il peso di queste nuove spese è stato subito trasferito dalle aziende sul consumatore finale: con il risultato, secondo i dati ufficiali dell`Office for National Statistics, che l`inflazione annuale dei prezzi alimentari nel marzo 2023 nel Regno Unito ha raggiunto il 19%. È il tasso più alto degli ultimi 45 anni. Un elemento che ha orientato i consumatori verso alimenti più economici spingendo, per esempio, nel 2022 una persona su quattro a un minor acquisto di verdure fresche (fonte Veg Power).
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Fonte: Il Latte