Negli ultimi dieci anni i consumi di ortofrutta nel nostro Paese sono diminuiti del 10%, ma nessuno è ancora riuscito a spiegare il perché. A questo interrogativo hanno cercato di rispondere i maggiori esperti italiani riunitisi qualche settimana fa all’evento Think Fresh organizzato a Firenze da Agroter.
Nell’epoca del benessere e della ricerca ossessionata di una sana alimentazione, l’Italia sta vivendo un grande paradosso: mentre da una parte si ha l’impressione che avanzi un consumatore sempre più attento alla propria dieta, dall’altra assistiamo invece ad un progressivo calo di consumi di ortaggi e frutta fresca. Fatti che sembrano contraddirsi a vicenda, ma che invece fotografano la complessa realtà del nostro Paese, certificando di fatto una crisi strutturale del comparto nazionale dell’ortofrutta. L’Italia è il primo produttore europeo di ortaggi ed il secondo di frutta con quasi 900.000 ettari di superficie complessiva utilizzata, il più ampio patrimonio varietale al mondo e 108 produzioni registrate DOP IGP in questo settore.
Gli ambiti dove occorre lavorare sono sostanzialmente tre: gli aspetti nutrizionali, il miglioramento della soddisfazione palatale e una strategia di marketing più efficace che riesca a raccontare la qualità dei prodotti italiani. C’è poi il tema della distribuzione organizzata che merita una riflessione a parte. Il futuro della GDO sarà puntare sui prodotti freschi perché con la crisi di carne e latticini e con la concorrenza delle piattaforme di commercio elettronico che si stanno specializzando sul grocery, sarà difficile mantenere l’attuale redditività. Ed è in questo contesto che l’ortofrutta italiano potrebbe ritrovare un spazio di nuova crescita.
Ma la vera causa della crisi di questo comparto – come sostiene uno dei massimi esperti del settore Roberto della Casa – sta nella sua idea iniziale di mercato: per lunghissimo tempo si è infatti ragionato sulla base di una logica che considerava i prodotti ortofrutticoli merci da “commodizzare“‘ con una forma unica e un gusto standard, come ad esempio i pomodori olandesi coltivati nelle serre tecnologiche. Si è pensato che questa fosse la strada, con l’attenzione rivolta unicamente al prezzo, mentre altri settori tipici del nostro Made in Italy hanno scelto una via differente, quella della qualità. La morale è che oggi in questo settore vince chi produce a costi più bassi, mettendo in crisi proprio le imprese italiane che hanno maggiori spese di produzione rispetto ad altri Paesi. Quella dell’ortofrutta in Italia sembra essere una partita dove attualmente tutti perdono. Per questo occorre cambiare organizzazione e idea di mercato, per poter rilanciare una fase nuova che riesca a premiare sia il produttore che il distributore, dando al contempo più soddisfazione al consumatore in termini di qualità. Bisogna uscire urgentemente da questa empasse cercando in primis di incentivare i nostri agricoltori a mettersi realmente insieme per aggregare una quantità di merci che sia in linea con le esigenze dei gruppi distributivi.
In un contesto in cui la capacità di spesa dei consumatori si è comunque ridotta, in cui si affermano nuovi stili di vita e campagne salutistiche, è fondamentale riuscire anche ad esprimere e trasmettere il valore di questi prodotti, perché c’è un forte vuoto conoscitivo che sicuramente non facilita le cose.
Per quello che riguarda la redditività, le analisi dimostrano che attualmente questa filiera non produce reddito. Il margine che rimane è molto spesso al di sotto del 10% e dovrebbe servire a far guadagnare tutti. Il nodo della questione quindi rimane il prezzo troppo basso, che nel caso di molti prodotti, a causa degli eccessi di offerta, è rimasto uguali a quelli di dieci anni fa. Ciò che bisogna fare allora è creare valore facendo pagare il giusto prezzo, altrimenti il problema del reddito sarà impossibile da risolvere ragionando solo nella logica della redistribuzione.
Sul tema dell’educazione al consumo, il lavoro svolto in questi anni con il programma europeo Frutta nelle scuole realizzato dal Ministero delle politiche agricole ha portato sicuramente qualche risultato, ma questo non basta. Quello che manca è un vero impegno nel segmento della generazione millenials che rappresentano un target difficile da raggiungere e considerano la frutta e verdura poco “trendy“.
E’ convinzione di molti comunque che il comparto ortofrutticolo in Italia possa ancora rappresentare un settore di punta e di traino, con grandi margini di miglioramento. Occorre però cambiare approccio e mentalità da parte di tutti gli attori: innovazione e capacità di marketing in primis le prime cose a cui mettere mano sin da subito. Modelli da seguire ci sono; basta guardare cosa sono riuscita a fare nel Trentino Alto Adige con le mele sia nell’organizzazione della filiera che nella commercializzazione. E forse è anche l’ora di smettere di piangersi.
Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita
Fonte: L’Unità