Poteri comunitari sostengano il settore con politiche di programmazione coerenti. Negli ultimi giorni sulla stampa nazionale ha dato rilievo alla relazione della Corte dei Conti Europea che esprime un giudizio negativo sulle misure investimento e promozione messe in atto dalla Commissione Ue a favore del settore vitivinicolo. Un tema molto importante in effetti, che tocca il nostro Paese da vicino dato che produciamo il 17% del totale mondiale e il 30% della Ue, con un valore di produzione stimato in 9,1 miliardi di euro. Ad una lettura veloce delle notizie apparse il giudizio della Corte è sembrato quasi una bocciatura totale alle misure di promozione. In realtà, il documento completo contiene osservazioni e raccomandazioni, ma anche le controrepliche della stessa commissione che in molti casi sembrano chiarire in maniera esplicita i rilievi.Data l’importanza del settore che – secondo l’indagine Mediobanca ha portato nel 2013 ad un aumento del 2,7% dell’occupazione, sarà bene analizzare un po’ più a fondo questo sembra più uno scontro tra poteri comunitari – Commissione e Corte dei Conti – e che rischia di minare il successo fin qui costruito dal comparto sui mercati internazionali anche grazie a queste misure. Le due dimensioni principali della relazione sono i rilievi contabili della Corte e la valutazione «politica» che la stessa fa delle politiche di promozione attuate dalla commissione. Per quanto riguarda il primo punto, le osservazioni delle Corte dei Conti, su una materia di stretta competenza non sono discutibili, anzi, è doveroso migliorare una serie di meccanismi che hanno funzionato in maniera scostante: tracciabilità delle spese, controllo di congruità, garanzia di una pista di audit sufficiente che colleghi ogni aiuto alla promozione ad azioni specifiche e adeguatamente documentate. Detto questo, i rilievi di tipo contabile, amministrativo e procedurale appaiono minimali rispetto ai rilievi «politici» mossi alla Commissione; infatti non emergono situazioni di dolo generalizzato, bensì singoli fatti imputabili soprattutto alla mancanza di linee guida coordinate tra i diversi Paesi. Nella valutazione «politica» la Corte sembra entrare molto più in profondità muovendo sostanzialmente due grandi macro-critiche. In primis, si sostiene le azioni sono spesso mirate a consolidare i mercati piuttosto che per conquistare i nuovi o per riconquistare i vecchi e che in questo non sia stata data la preferenza che spettava alle Pmi rispetto alle grandi imprese. La seconda rilevazione riguarda i limiti del singolo beneficiario, da un lato si attaccano le possibilità di presentare programmi di promozione per lo stesso Paese in diverse periodi di programmazione, dall’altro si condanna l’uso eccessivo del singolo marchio rispetto all’obiettivo generale di valorizzare i vini DOP e IGP, e varietali. La Commissione risponde punto con molta efficacia su tutti gli aspetti tecnici messi in rilievo dalla Corte con una certa «miopia tecnocratica». Quello che credo sia però più interessante rilevare, andando nel concreto, è che la riforma dell’organizzazione comune di mercato (Ocm) nel settore vitivinicolo, adottata dal Consiglio nel 2008, ha già raggiunto uno dei suoi obiettivi principali, ovvero il ripristino dell’equilibrio tra domanda e offerta. E non solo. «La riforma – afferma il consulente per le Pmi Agroindustriali Giuseppe Sciotti – ha permesso di compiere progressi evidenti verso il raggiungimento del secondo obiettivo, inteso ad accrescere la competitività del settore vitivinicolo. Si è posto fine alla distillazione su vasta scala, finanziata tramite il bilancio europeo, senza comunque danneggiare il mercato, e le esportazioni verso i Paesi terzi sono aumentate in valore e in volume, soprattutto grazie alle misure della riforma e tanto è stata riconosciuta valida la politica adottata nel settore della promozione che la recente conferma della Ocm, per la nuova programmazione 2013-2018, varata con Reg. UE 1308/2013 la rafforza, estendendola, seppure con alcuni vincoli, anche ai Paesi dell’area dell’Unione Europea». Mettere in discussione adesso un modello di cui anche Parlamento e Consiglio hanno riconfermato l’utilità, riproponendone i principi nel regolamento nella nuova Ocm per il periodo 2014-2020, potrebbe essere davvero un errore mondiale.
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