Lo studio condotto dall’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II, all’interno del progetto VI.B.RI.S., mira a ridurre il contenuto di solfiti sfruttando le proprietà chimico-fisiche dei vitigni autoctoni Fenile, Ginestra, Pepella e Ripoli.
Procedendo da Nord a Sud lungo l’intera penisola italiana, ci si imbatte in un’ampia varietà di vitigni autoctoni (Vitis vinifera L.). Molti di questi sono piuttosto rari e, purtroppo, destinati a scomparire in assenza di adeguati piani di difesa e conservazione. Eppure, un interesse crescente è rivolto a tali vitigni, in quanto le loro peculiari caratteristiche chimico-metaboliche sono alla base della produzione di vini a elevata identità territoriale. C’è un altro motivo, non meno importante, per cui sarebbe auspicabile la valorizzazione dei vitigni autoctoni: nel profilo metabolico delle uve, intimamente connesso al corredo genetico dei vitigni stessi, è custodito il segreto della loro sopravvivenza in condizioni pedoclimatiche spesso ostili. Un segreto che varrebbe la pena svelare alla luce dei cambiamenti climatici e degli eventi metereologici estremi a cui stiamo assistendo. In aree geografiche remote e difficilmente accessibili della Costiera Amalfitana, ancora oggi sono coltivati dei vitigni autoctoni che, abbarbicati su ripidi pendii terrazzati, conservano un’elevata biodiversità. Il Governo Italiano, con il Decreto VVQ n° 6/2019, ha classificato i vitigni della Costiera come “eroici”, dal momento che rispondono a tutti i requisiti della viticoltura eroica che prevede, tra l’altro, una coltivazione delle piante in terreni al di sopra dei 500 metri s.l.m. e con pendenze di almeno il 30%. Quattro di questi vitigni nel 2005 sono stati ufficialmente registrati nel Catalogo Nazionale dei vitigni destinati alla produzione di vino. Si tratta delle varietà a bacca bianca denominate Fenile, Ginestra, Pepella e Ripoli. La varietà Fenile è principalmente coltivata nelle aree a ridosso di Positano, Amalfi e Furore. Produce grappoli conici di media compattezza, con acini di circa 2 gr dalla buccia sottile, gialla e cerosa. Si tramanda che il nome Fenile sia da associare alla colorazione dorata del grappolo che ricorda quella del fieno. La varietà Ginestra, oltre che nelle suddette aree, è diffusa anche nel territorio di Tramonti e Corbara. Erroneamente confusa, talvolta, con la varietà Falanghina, sembra sia una varietà coltivata esclusivamente lungo la costa amalfitana, come documentato da recenti studi genetici. Il nome è chiaramente derivato dall’omonimo arbusto dai fiori gialli di cui condivide il profumo. La varietà Pepella è poco diffusa e si ritrova per lo più intorno a Tramonti e Ravello. Una sua caratteristica è la presenza sporadica nei grappoli di grandi acini assieme ad acini molto più piccoli e numerosi, che ricordano la dimensione dei granelli di pepe nero, da cui il nome. La varietà Ripoli era un tempo ampiamente diffusa sui pendii dei Monti Lattari, ma è ora coltivata su pergole principalmente nei territori di Furore e Positano, con una produzione non sempre costante. In assenza di informazioni reperibili dalla letteratura scientifica su queste quattro varietà, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Regione Campania (“Vini bianchi a ridotto contenuto di solfiti, longevi e di elevata qualità sensoriale” – VI.B.RI.S. – PSR 2014/2020 Misura 19), è stato recentemente condotto presso la Sezione delle Scienze della Vigna e del Vino di Avellino (Dipartimento di Agraria- Università degli Studi di Napoli “Federico II”) uno studio teso a definire il profilo qualitativo e quantitativo dei metaboliti di interesse enologico di ciascuna delle quattro varietà menzionate.
Martino Forino, laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche e con un dottorato di ricerca in sostanze naturali farmacologicamente attive. È attualmente professore ordinario in chimica organica presso il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Nel suo lavoro di ricerca si occupa dello studio di metaboliti bioattivi nelle uve e nel vino e della comprensione delle basi chimiche dei processi molecolari coinvolti nella longevità del vino.
Metodologia
Campioni di uva delle quattro cultivar oggetto di indagine sono stati raccolti nell’autunno del 2021 e sono stati identificati sulla base delle descrizioni riportate in “La risorsa genetica della vite in Campania” di M. Manzoz e A. Monaco. Per ogni campione d’uva sono state separate le bucce dai vinaccioli e analizzati separatamente mediante tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) e di Spettrometria di Massa accoppiata alla cromatografia liquida (LCMS/ MS).
L’analisi NMR delle bucce ha permesso l’identificazione di diverse classi di composti chimici come carboidrati (glucosio e fruttosio), acidi organici (acido malico e tartarico), aminoacidi e interessanti quantità di acido oleanolico, un triterpenoide dotato di molteplici attività biologiche (Figura 1).
In maniera analoga, l’analisi NMR degli estratti dei vinaccioli ha evidenziato la presenza di tipici flavan-3-oli, in particolare (+)-catechina e (-)-epicatechina, oltre a un’elevata concentrazione di polimeri, quali i tannini condensati. Allo scopo di ottenere ulteriori informazioni sulla composizione polifenolica delle uve, si è fatto ricorso un’analisi qualitativa e quantitativa mirata e basata sull’LC-MS/MS, che a differenza di quella NMR risulta essere molto più sensibile e permette di identificare composti presenti in concentrazioni troppo basse per poter essere rilevati mediante NMR (Tabella 1). In aggiunta, si è definita anche la composizione aminoacidica delle quattro varietà di uve mediante HPLC. Fenile è risultata la varietà più ricca, in particolare in tirosina, prolina e arginina.
VI.B.RI.S.
VI.B.RI.S. nasce come un progetto di cooperazione tra il mondo della ricerca universitaria e alcune aziende operanti nel territorio della Costiera Amalfitana, con l’obiettivo di rafforzare e consolidare le reti relazionali tra i soggetti del sistema della conoscenza e di promuovere la diffusione dell’innovazione nella filiera vitivinicola del territorio del GAL Terra Protetta. In particolare, VI.B.RI.S. si è incentrato sullo studio delle proprietà chimico-fisiche delle uve di quattro vitigni autoctoni della Costiera Amalfitana al fine di elaborare, sulla base dei dati ottenuti, opportuni protocolli di vinificazione a ridotto contenuto di anidride solforosa. Se da un lato l’anidride solforosa, in virtù delle sue proprietà antimicrobiche, antiossidanti e di inibizione enzimatica, è un comune additivo in campo enologico, dall’altro può causare in consumatori sensibili disturbi che vanno dal broncospasmo a problemi gastrointestinali, e, in casi piuttosto rari, anche shock anafilattici. Alla luce, dunque, del profilo metabolico delle uve oggetto di indagine, si potranno elaborare adeguate pratiche di viticoltura e di enologia, con l’obiettivo finale di favorire un’equilibrata concentrazione nel prodotto finito di composti naturalmente presenti nelle uve e nel vino con intrinseche bioattività antimicrobiche e antiossidanti, in modo da limitare l’aggiunta dei solfiti.
Risultati
I profili polifenolici delle bucce dei campioni di uva provenineti dai quattro vitigni della Costiera Amalfitana, pur risultando qualitativamente sovrapponibili, hanno mostrato differenze significative in termini di abbondanze relative dei composti identificati. Nel dettaglio, per quanto riguarda i flavonoli, Ripoli era particolarmente ricca di derivati della quercetina, ma con la più bassa quantità di derivati del kaempferolo; Ginestra presentava derivati di quercetina e kaempferolo paragonabili, mentre Fenile e Ripoli erano caratterizzati da un quantitativo di quercetine pari al doppio dei kaempferoli. Le quantità relative dei flavonoli, essendo indice di autenticità e differenziazione varietale, rappresentano un importante strumento per la caratterizzazione delle uve. In relazione ai flavanoli, il contenuto di catechina è risultato superiore a quello dell’epicatechina, con qualche differenza più significativa nel caso di Fenile e Ginestra, rispetto a Pepella e Ripoli. Per quanto riguarda le procianidine, Pepella e Ripoli hanno presentato concentrazioni maggiori rispetto a Fenile e Ginestra. Dal punto di vista enologico, un’eccessiva presenza di flavanoli e procianidine può essere dannosa, in quanto sono responsabili dell’ossidazione chimica, dell’amarezza e dell’astringenza del vino, motivo per cui è opportuno che, durante la vinificazione di Pepella e Ripoli e, in misura minore, di Fenile e Ginestra, si limiti il più possibile la loro estrazione dalle bucce. Infine, sempre nelle bucce sono stati individuati e quantificati alcuni composti, appartenenti alla classe dell’acido cinnamico, che sono fondamentali per la gestione delle prime fasi di vinificazione. Nel mosto, infatti, le polifenolossidasi (OPP) ossidano rapidamente gli acidi fenolici in composti chinonici che causano l’imbrunimento dei vini con una concomitante riduzione dell’aroma varietale. Pertanto, soprattutto per le uve Fenile e Ginestra, durante le prime fasi della vinificazione, è di importanza cruciale limitare l’attività deleteria delle OPP, mediante una corretta gestione della temperatura e dell’anidride solforosa. Un aspetto particolarmente interessante di questa ricerca è stata la determinazione nelle bucce di tutte le uve analizzate di buone quantità di acido oleanolico. L’acido oleanolico è un triterpenoide ampiamente diffuso nel mondo vegetale, che, nelle uve, rappresenta un costituente maggioritario della cuticola delle bucce. I triterpenoidi di recente hanno trovato largo impiego come integratori alimentari nel settore nutraceutico e cosmetico, in virtù delle loro spiccate proprietà antitumorali, antiinfiammatorie, cicatrizzanti delle lesioni cutanee, antibiotiche e, non ultime, antivirali.
Conclusioni
Le analisi condotte sulle varietà d’uva oggetto di studio intendono suggerire ai produttori indicazioni strategiche per lo sviluppo di pratiche viticole ed enologiche funzionali alla produzione di vini di alta qualità e con un’elevata identità territoriale. Sono indubbie le ricadute positive sulla reputazione delle cantine interessate come pure dell’intero tessuto produttivo della Costiera Amalfitana. Un dato certamente degno di rilievo è l’individuazione dell’acido oleanolico nelle bucce delle uve, nell’ottica della valorizzazione degli scarti e quindi dell’economia circolare. Infatti, a causa della sua ridotta idrosolubilità, ci si aspetta che l’acido oleanolico si concentri nelle vinacce, uno dei principali scarti della produzione vitivinicola. Il recupero di questa molecola diventerebbe funzionale a un suo reimpiego in campo nutraceutico e alimentare, nonché cosmeceutico, in virtù delle sue molteplici attività salutistiche. Pertanto, sarebbe auspicabile elaborare metodiche sostenibili per recuperare i quantitativi residui di acido olenaolico dalle vinacce, in modo da diversificare i proventi delle aziende aumentandone la competitività. Infine, come accennato in precedenza, negli specifici profili metabolici delle quattro varietà d’uva è senz’altro custodito il segreto della sopravvivenza dei rispettivi vitigni negli aspri ambienti pedoclimatici della Costiera Amalfitana. Un’attenta analisi genetica si rivelerà utile per selezionare i cloni di vite adatti a specifici ambienti pedoclimatici soggetti a rapidi mutamenti, come conseguenza dei cambiamenti climatici in atto.
Riferimenti ricerca
Titolo
Chemical characterization of four ancient white wine grapes (Vitis vinifera L.) from the Amalfi coastAutori
M. D’Amato, A. Cerulli, F. Errichiello, A. Gambuti, L. Moio, M. Forino, S. PiacenteFonte
Food Chemistry Advances, Volume 2, 2023, 100201,
ISSN 2772-753X – https://doi.org/10.1016/j.focha.2023.100201
A cura della redazione
Fonte: Consortium 2024_01