Il rapporto con la natura sta cambiando, la siccità mette a dura prova il raccolto nel vercellese Ora l’obiettivo è creare modelli ecosostenibili.
Non solo il riso, anche il raccolto è amaro. A 73 anni dall’uscita servirebbe un remake della celebre pellicola di Giuseppe De Santis per descrivere il 2022 della coltivazione del cereale. Un anno che ha visto una delle più gravi siccità della storia colpire la culla del chicco italiano ed europeo, il Piemonte, dove si coltiva il 51% del prodotto nazionale su circa 115.000 ettari di risaie. È ancora presto, dicono dalle associazioni risicole, fare una stima definitiva sulla quantità e sulla qualità del raccolto nei circa 70.000 ettari di risaie della provincia di Vercelli: in alcune zone il taglio è iniziato in anticipo, a metà settembre, in altre invece si deve ancora trebbiare. La percezione di come sarà la campagna risicola a taglio concluso varia di settimana in settimana: se inizialmente si pensava che la produzione del 2022 fosse nella media degli altri anni, dopo pochi giorni la prospettiva si è rovesciata. «I primi raccolti stanno mettendo in evidenza una resa ad ettaro non esaltante, anche sotto la media», evidenzia Paolo Carrà, presidente di Ente Nazionale Risi. Anche la resa alla trasformazione, cioè quanto riso si riesce effettivamente a ricavare durante la lavorazione dei chicchi, «pare sia bassa», aggiungono dal quartier generale dell’ente, a Castello D’Agogna, in piena Lomellina. «Siamo a 10-15 giorni dall’inizio della trebbiatura – sottolinea C arrà – e l’eccessivo caldo estivo, che ha accelerato la maturazione dei chicchi, non è stato favorevole alla nostra coltura». La siccità ha colpito anche le risaie su cui si specchia il Monte Rosa, e dove cresce l’unica DOP del settore in Italia, il Riso di Baraggia Biellese e Vecellese DOP. Ma non allo stesso livello di altre zone della pianura risicola, come il Novarese, Lomellina e Milanese, quindi il raccolto si farà lo stesso. «Nell’area della provincia di Vercelli la carenza d’acqua non ha provocato danni estesi come altrove – aggiunge Carrà -, ci sono tuttavia zone a macchia di leopardo dove la siccità ha fatto qualche danno, come la Baraggia e la Bassa Vercellese». Cosa ha contribuito a salvare il riso di Vercelli? Un’oculata gestione della risorsa idrica, ma anche la vicinanza dei corsi d’acqua e all’imbocco del Canale Cavour, dove nasce quella sottile striscia di 83 chilometri che preleva l’acqua dal Po e irriga i campi fino al Novarese e Lomellina. Questo ha permesso al riso di concludere la fase vegetativa un po’ dappertutto.
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Fonte: Il Messaggero