L’Osservatorio ismea-NielsenIQ ha analizzato la spesa degli italiani ai tempi dell’inflazione: carrello alleggerito da dopo Ferragosto ma il trend complessivo a valore dei canali distributivi è positivo
Aumenta la quota di famiglie in difficoltà per colpa della crisi economica, così come aumentano le famiglie più attente alle spese quotidiane anche se non direttamente impattate dalla crisi. Sono queste le indicazioni che arrivano da NielsenIQ, relative ai primi 11 mesi dell’anno, per il mercato del Largo consumo confezionato (LCC). Mercato che ha iniziato ad accusare una tendenza negativa nei volumi dopo Ferragosto, raggiungendo il picco a ottobre (-3,7%). Il calo è proseguito a novembre, ma in modo meno accentuato rispetto al mese precedente (-1,2%).
Nei primi 11 mesi, il trend complessivo a valore dei canali distributivi è positivo, con discount (+9,5%) e special drug (+7,9%) che continuano a crescere di più rispetto ai supermercati (+5,8%), mini-Iper (+5,8%), grandi Iper (+5,6%) e liberi servizi (+2,2%). Il supermercato resta, tuttavia, il canale distributivo predominante nel LCC con quasi il 40% di share, sebbene a novembre il trend delle vendite a volume segni una flessione dell’1,6% (+12,1% a valore). Anche i discount, con il 22,1% di share, perdono colpi nei volumi (-1,9%), però la sua quota di mercato a valore è l’unica tra i canali di vendita che rosicchia quasi 1 punto percentuale a novembre rispetto ad un anno fa quando si attestava a 21,3%. A metà strada i grandi Iper che viaggiano a due velocità (+9,5% a valore e -1,8% a volume). In terreno positivo special drug (+5,2% e +13,6%), ecommerce (+17,6% e +7,9%) e mini-Iper (+0,8% e +13,9%).
L’andamento della GDO, secondo l’Osservatorio Ismea-NielsenIQ, è lo specchio del carrello della spesa degli italiani che si è fatto più leggero da diversi mesi, subito dopo l’estate, con una contrazione della crescita dello scontrino. Già da settembre, ricorda l’Osservatorio, gli italiani hanno iniziato ad adottare molte contromisure per limitare l’impatto della spinta inflattiva che, dopo la brusca accelerazione di ottobre, si conferma a novembre all’11,8% su base annua, cioè «su livelli che non si vedevano da marzo 1984 (quando fu +11,9%)», dichiara l’Istat.
L’Osservatorio sottolinea che, da gennaio a settembre, il periodo preso in esame, gli incrementi della spesa coinvolgono tutto il territorio nazionale con un’intensità leggermente superiore al Nord dove superano il 5,3%. «Gli incrementi di prezzo al consumo sono frutto non solo dell`aumento dei prezzi dei prodotti agricoli – si legge nello studio – ma, lungo la filiera, si caricano di vari aumenti che interessano anche gli step intermedi come la logistica e il confezionamento». In questo senso, puntualizza l’Osservatorio, «appare interessante il fatto che l’aumento dei prezzi al dettaglio è più evidente sui prodotti confezionati (più 5% vs il più 3,2% dello sfaso). Tale dinamica potrebbe influire non poco sul processo di orientamento verso il prodotto confezionato che da anni caratterizza la spesa agroalimentare».
A stringere la cinghia sono soprattutto le famiglie più giovani e con figli piccoli, quelle che più di altre sentono la crisi, risparmiano e contraggono la spesa per i consumi in casa (-13,7% rispetto al periodo pre-Covid). «Bollette, baby-sitter, mutui o affitti assorbono buona parte degli stipendi costringendo a rinunce che investono anche il comparto alimentare», sottolinea lo studio. Le famiglie mature sono meno sensibili alla crisi e mantengono il carrello quasi inalterato assorbendo un incremento della spesa. Nel frattempo, scende il numero di famiglie che per fare acquisti alimentari utilizza il canale digitale, dopo il boom del 2020 e 2021, infatti, la scelta del canale fisico torna a prevalere su quasi un milione di famiglie che nell’anno precedente avevano provato il digitale. «Di fatto, però gli acquisti attraverso canali digitali restano superiori dell’80% al periodo pre-Covid, ma sono il 6% in meno le famiglie che lo hanno fatto nel 2022 rispetto al 2021».
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Fonte: Affari&Finanza – La Repubblica