«I millennials saranno il nostro punto di riferimento nei prossimi anni, la sfida è trovare il modo di raggiungerli». Andrea Sartori, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, chiede un salto di qualità alle aziende produttrici che portano in giro per il mondo la denominazione di alcuni dei vini più famosi d’Italia tra cui l’Amarone della Valpolicella DOP, la punta di diamante, il Valpolicella Ripasso DOP, il Valpolicella DOP e il Recioto della Valpolicella DOP. L’80% dei produttori fanno parte del Consorzio e sono perlopiù realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni. Nel 2019 il sistema DOP della Valpolicella ha imbottigliato complessivamente più di 64 milioni di bottiglie, riportando una redditività aziendale tra le più alte in Italia fino a 23 mila euro a ettaro per un giro di affari di oltre 600 milioni di euro (il 75% realizzato all’estero), 350 milioni sono generati dalle vendite dell’Amarone della Valpolicella DOP.
«I millennials americani, tedeschi, inglesi o canadesi – pur con le differenze dovute alla nazionalità – esprimono valori comuni: l’attenzione alla sostenibilità, non solo in senso ambientale, ma anche etico-sociale, perché sono convinti che dalle loro scelte possa scaturire un cambiamento globale. L’impegno dei nostri produttori deve essere quello di intercettare questo sentimento, distinguendosi sul mercato parlando del territorio e della sostenibilità a cui i giovani sono molto sensibili». Sullo sfondo ci sono i numeri del 2019 dell’osservatorio Wine Monitor di Nomisma che fotografano un andamento positivo dell’Amarone della Valpolicella DOP e, nel complesso, dei vini rossi della Valpolicella nei mercati di Usa, UK, Germania e Canada: «Abbiamo recuperato quanto perso nel 2018, siamo fiduciosi per il futuro anche se le criticità del 2020 rischiano di essere pesanti», osserva il presidente.
Delle 3 minacce che potrebbero frenare la corsa dell’export dei vini della DOP veneta – virus in Cina, Brexit in UK e dazi in Usa – è l’ultima a spaventare di più Sartori: «In Cina, molte aziende ci stanno puntando, inclusa la mia, ma il paese oggi non rappresenta un pericolo perché non assorbe quantità significative di bottiglie. Il problema ci potrebbe essere invece se crollassero i mercati di Giappone e Corea del Sud». Per gli Usa, il discorso cambia. Qui, già oggi, al netto dei dazi, la crescita dei consumi di vino si prospetta bassa per il 2020 (fino all’1%). Non solo, va ricordato che a partire da ottobre 2019 i vini francesi colpiti dai dazi hanno perso il 25%. «È evidente che se il governo americano decidesse di estendere le tariffe a tutti i paesi Ue – oltre che a Francia, Germania e Spagna – il contraccolpo sarebbe enorme per i nostri produttori». Wine Monitor riporta che gli Usa, esclusi gli spumanti, valgono a valore il 26% di tutti i vini imbottigliati fermi e il 22% dei vini rossi. «L’Amarone della Valpolicella DOP pesa a valore il 14% delle nostre esportazioni in Usa, ma è una quota troppo bassa. In più perdiamo il 2% nel 2019, mentre la percentuale del totale dei vini imbottigliati esportati dall’Italia è cresciuta del 2,7%. L’Amarone della Valpolicella DOP ha tutte le caratteristiche organolettiche per piacere molto agli americani».
Lo spettro della Brexit spaventa meno: «Non sono preoccupato perché penso che il governo inglese non porterà aumenti tariffari sui vini. Mi preoccupano di più gli effetti che la Brexit possa avere sull’economia del Paese e su Londra, in particolare. L’Amarone della Valpolicella DOP è un vino da economia forte: se scendesse l’indice di fiducia dei consumatori, sarebbe un problema». La Germania? «È un mercato che tiene il passo, nonostante un flessione generalizzata dei rossi e una crescita dei bianchi, soprattutto di quelli tedeschi che sono di moda e sono posizionati bene».
Fonte: La Repubblica – Affari&Finanza