Se qualcuno scrive «Calpolicella» sull’etichetta di un vino, non è un errore di stampa: è una truffa. Finita male (stavolta, e non è frequente) per i truffatori californiani che, con buona pace della «great America» predicata dal loro presidente Trump, volevano emulare in peggio le peggiori furbate della Little Italy di ieri, di oggi e di sempre. Truffa commerciale sul vino. Prendi un vinaccio industriale da due soldi, imbottiglialo e mettici sopra un’etichetta che «suoni italiano» e abbindoli i gonzi. Il gioco è fatto: vendi dell’acqua sporcata di rosso al prezzo che Eataly, per dire, praticherebbe per un gran vino.
Per fortuna, la Camera di commercio di Verona e il Consorzio di Tutela del Valpolicella DOP hanno bloccato sul nascere un tentativo di imitazione del grande vino Valpolicella negli Usa. E ci sono riusciti per eleganti vie legali: hanno presentato opposizione presso l’ufficio Marchi statunitense contro la richiesta di registrazione del marchio «Calpolicella», presentata da un’azienda californiana, ed hanno ottenuto ragione. É solo l’ultima delle battaglie combattute contro l’impiego di marchi confusori, come ad esempio l’Amicone che imita l’Amarone della Valpolicella DOP ed è stato rinvenuto a lungo ad Hong Kong. Questa battaglia contro il cosiddetto italian sounding vale 58 miliardi di euro di export, come certificano (indicando appunto quell’altissimo valore monetario) gli ultimi dati di Assocamerestero, l’associazione che riunisce le 78 camere di commercio italiane all’estero.
Ma si deve e si può fare di più. Combattere la battaglia fino in fondo. Bisogna dire la verità: il Ministro dell’agricoltura Maurizio Martina e il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ci hanno provato con un impegno inedito. Ma è evidente che occorre uno sforzo di tipo civico, di sistema, esteso non solo alle strutture efficienti italiane in Italia (e la Camera di commercio di Verona lo è stata, con buona pace di chi ha provato ad eliminarla dalla faccia istituzionale del Paese, con tutte le consorelle!) ma anche alle strutture di rappresentanza all’estero: ambasciate, consolati, semplici cittadini residenti. La contraffazione perniciosa non è solo cinese, anzi: c’è più correttezza nel grande portale e-commerce di Jack Ma, Alibaba, che in tanti furbastri copiatori nordamericani ed europei.
Fonte: ItaliaOggi