«Nessuna forma di formaggio contaminato è finita sul mercato», è quanto ribadisce il Consorzio Grana Padano DOP, che appone il prestigioso marchio a 4,6 milioni di forme l’anno . Ma il suo direttore generale, Stefano Berni, annuncia la volontà di costituirsi parte civile «nei confronti di quei caseifici per i quali si dimostrerà la consapevolezza di aver ritirato latte di stalla con valori di aflatossina superiori ai 50 nanogrammi per litro, anche se il latte di massa delle cisterne era inferiore ai limiti di legge». Non solo. Berni ricorda che è vietata la possibilità di diluire il latte contaminato con quello sano. Per questo «siamo intenzionati anche a querelare quelle aziende per le quali verranno dimostrati comportamenti dolosi».
Il Consorzio attende di acquisire gli atti dell’inchiesta per valutare il comportamento dei singoli associati. «È chiaro però che non possiamo mettere tutti sullo stesso piano. C’è chi ha ritirato inconsapevolmente del latte di cisterna con valori inferiori ai 40 e addirittura ai 30 nanogrammi al litro. E quindi non aveva alcun obbligo di verifiche ulteriori: non poteva sapere che un singolo allevatore non stesse rispettando i parametri di legge». È il caso ad esempio di Gardalatte e San Vitale. Discorso diverso se – come stanno appurando le indagini – qualche caseificio sia andato alla ricerca di latte contaminato, ritirandolo addirittura sottocosto (si parla di 10 centesimi al litro). Al di là della consapevolezza o meno «il nostro legale ci ha confermato che le forme prodotte con latte che si sapeva essere “mescolato” dovranno ad ogni modo essere distrutte, anche se il valore di aflatossine risulterà inferiore ai limiti di legge di 275 nanogrammi al chilo, stabilito nel 2013 dal ministero della Salute». Il Consorzio non intraprenderà una battaglia per dissequestrare le forme oggi sotto sequestro sanitario: «Questo compete ai singoli caseifici – aggiunge Berni – mentre la nostra mission è la tutela del marchio e innanzi tutto dei consumatori».