La riduzione del potere di acquisto dal 2009 ad oggi e le allerte alimentari, all’origine dei nuovi consumatori.
Sono due gli aspetti di maggior rilievo che emergono dall’osservazione dei consumi alimentari nazionali ed europei degli ultimi anni: il cambiamento delle abitudini alimentari e la costante diminuzione sugli acquisti. Questa situazione è stata determinata da due fattori principali come la crisi economica e l’impatto della comunicazione dei tanti allarmi alimentari che si sono susseguiti in questi anni. Il potere di acquisto delle famiglie, come certifica l’Istat trimestralmente, è diminuito in maniera progressiva dal 2009. Sul cambiamento dei consumi alimentari, oltre alla crisi economica, incide in maniera determinante la reazione del consumatore alla percezione negativa ricevuta dalla comunicazione legata alle emergenze alimentari, proprio come sta succedendo anche in questi giorni con lo scandalo della carne di cavallo, utilizzata per le lasagne surgelate della Findus e non dichiarata in etichetta. Troppo lungo l’elenco degli allarmi alimentari di questi ultimi decenni, che hanno avuto una forte eco nella stampa internazionale. Casi clamorosi si susseguono dal 1986, dal vino al metanolo all’allarme “mucca pazza” del 2001, che coinvolse tutta l’Europa, nel 2003 l’aviaria nell’aria asiatica, nel 2008 l’allarme diossina per i prodotti provenienti dalla Campania, nel 2009 la febbre suina nel Messico, per arrivare all’estate 2011 con le “mozzarella blu” nei banchi dei supermercati e nel 2012 dieci morti in Germania per il contagio da “Escherichia coli”, trasmesso da alcuni cetrioli.
Una grave serie di allarmi che lentamente hanno “contaminato” anche la fiducia dei consumatori, con una conseguente ricaduta sulle loro scelte alimentari. Non c’è dubbio che l’informazione scandalistica e invadente che a volte amplifica a dismisura determinate situazioni, lasci inconsapevolmente tracce di insicurezza che si manifestano al momento degli acquisti. Comunicazione e crisi sono quindi le due forze che spingano, anzi azionano la mano del consumatore moderno. Forze che spesso si trovano contrapposte, con la crisi che induce il consumatore a spingere il carrello verso la GDO low cost e l’insicurezza alimentare che tende a condurlo verso il mercato di campagna e la vendita diretta.
In questi anni di grande trasformazione sociale, l’Osservatorio consumi alimentari dell’Università IULM di Milano, coordinato da Vincenzo Russo, ha codificato tre nuove macro categorie di consumatori nel mondo alimentare. La prima categoria viene rappresentata dalla frase: “lo stesso, meno!”, indicando un consumatore che è diventato più frugale, ma senza mortificazioni, frequenta meno la Gdo, preferisce concentrare gli acquisti, scegliendo con attenzione prodotti senza imballaggi, facendo acquisti alimentari finalizzati alle necessità effettive. Si tratta di un consumatore che non intende abbandonare le proprie abitudini, cerca di riuscire a fare le stesse cose di prima, ma riducendo le quantità. La seconda categoria di nuovi consumatori individuata dallo studio della IULM, risponde invece alla regola “lo stesso a meno” secondo la quale il consumatore diventa un moderno Sherlock Holmes, uno scrupoloso ricercatore di indizi che ridisegna il suo tempo libero, cercando le marche e i prodotti a cui era abituato per scovare i prezzi migliori, e ci riesce confrontando le offerte tra diversi punti vendita, facendo attenzione di acquistare nel giorno settimanale deputato alle occasioni, aiutato in questo anche dal web. L’ultima categoria di nuovi consumatori analizzata dallo studio IULM risponde alla frase “meno a più valore” , in pratica di fronte alla necessità di rivedere le proprie politiche di acquisti, il nuovo consumatore cerca la gratificazione del valore simbolico aggiunto, scegliendo prodotti a km 0, ricorrendo al consumo equo-solidale, cercando produzioni biologiche direttamente dal contadino o ricorrendo ai Gruppi di acquisto solidale.
Ne deriva che l’intreccio mai risolto all’interno del consumatore, fra la necessità di risparmiare e quello della ricerca della qualità per paura di incorrere in prodotti non salubri, rimane la componente essenziale della scelta alimentare. Forse, come sosteneva Giampaolo Fabris – sociologo esperto nello studio del consumatore – la società della post-crescita ci sta portando, anche attraverso esperienze come quelle che stiamo vivendo oggi, verso modelli di consumo più responsabili e sostenibili. Ma è altrettanto vero che questi modelli non sono alla portata di tutti e rischiano di spaccare la società in due parti nette e distinte. Chi può permettersi un cibo di qualità a costo elevato e chi è costretto a mangiare prodotti low cost spesso non sicuri. Ma può esserci qualcosa di mezzo? Esistono filiere territoriali attrezzate che possono dare risposte alimentari sicure e tracciabili per tutti? Credo che una risposta sia nel modello si sviluppo rurale e alimentare che hanno saputo costruire le denominazioni di origine italiane ed europee, con il sistema dei prodotti DOP IGP. Proprio qui si trovano molte delle soluzioni che stiamo cercando per dare risposte di qualità, prezzo e sicurezza anche nelle altre filiere.
20130215_FoodPolitics.pdf