Dal nuovo Atlante Qualivita ai temi chiave di Expo che tengono banco, tra riflessioni e discussioni. E poi gli sforzi in atto per condividere con le istituzioni globali le sfide dell’Esposizione universale di Milano e quindi gli impegni per garantire un’efficace formazione del consumatore, specie quello di domani. Ecco gli argomenti sul tavolo della nostra conversazione con Mauro Rosati, direttore generale di Qualivita (fondazione senza scopo di lucro che dal 2002 si occupa della protezione e della valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità, vino compreso) e fresco di nomina all’interno del Centro studi “Franco Marenghi” dell’Accademia Italiana della Cucina.
L’Atlante Qualivita Food&Wine 2015 fotografa la qualità certificata dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli italiani DOP, IGP e STG registrati a livello europeo. Questa ottava edizione mappa per la prima volta tutti i prodotti italiani a Indicazione Geografica (con l’inserimento della categoria spirits accanto a quelle food e wine), soffermandosi sull’impronta economica che le produzioni di qualità lasciano sui territori di riferimento. Cosa serve, secondo lei, per imboccare davvero un nuovo corso economico globale – invocato perfino dalla nuova Enciclica di Papa Francesco – che contempli l’agroalimentare sostenibile come una delle principali leve di sviluppo?
“Molte aziende italiane, già da tempo, producono nel settore agroalimentare prestando grande attenzione alla sostenibilità, per questo siamo sicuramente avanti rispetto ad altre nazioni ed alla media europea. L’Italia, a parte alcune situazioni eccezionali che purtroppo tutti conoscono, ha puntato da anni sulle produzioni di qualità, che rappresentano il risultato di un delicato equilibrio fatto di storia, sostenibilità e ambiente. Questo atteggiamento, nel tempo, ha protetto il territorio, che è una delle risorse principali della Penisola. L’Italia non ha investito in produzioni intensive ed estensive, come invece è successo in Spagna per l’olivo; per la maggior parte delle nostre aziende la sostenibilità è quasi implicita nel prodotto. È necessario tuttavia creare una maggiore consapevolezza nei consumatori, che li porti a scegliere le realtà più virtuose, spingendo così il mercato verso una costante ricerca della sostenibilità”.
Da parte di alcuni osservatori non mancano critiche sui contenuti di Expo rispetto a quelli che erano stati originariamente previsti in fase di assegnazione. Secondo alcuni, l’evento di Milano “sembra un luna park” più che un’Esposizione in grado di lasciare in eredità azioni concrete per la lotta alla fame nel mondo. Cosa ne pensa?
“La mission di Expo non è fare azioni concrete. E’ un’esposizione, come dice il nome stesso, un contenitore e una piattaforma di discussione. “Nutrire il Pianeta, energia per la vita” è un tema estremamente complesso, che doveva essere comunque declinato in maniera semplice e attraente. Expo non è una fiera agricola, e, aggiungo, per fortuna. Durante la visita si procede per simboli, immagini e progetti che devono arrivare a tutti, e per far sì che questo accada, per raggiungere i 30 milioni di visitatori, è normale che si sia giocato sulla spettacolarità di impatto. Il merito è proprio quello di portare l’attenzione del grande pubblico verso temi importanti legati all’alimentazione e alla produzione di cibo: grazie ad Expo, tantissimi giovani, di tutte le età, si sono avvicinati a queste tematiche; un vero successo perché il dibattito non deve restare circoscritto agli addetti ai lavori, ma coinvolgere chiunque, in particolare le nuove generazioni”.
L’eredità di Expo 2015 si chiama Carta di Milano. Secondo lei riuscirà a trasformarsi in un impegno globale a favore della sostenibilità, della biodiversità e della lotta alla fame zero, riuscendo a chiamare in causa i principali organismi internazionali?
“Le organizzazioni mondiali sono già coinvolte e chiamate in causa, i passaggi ci sono tutti, ma esperienze precedenti, come la Carta di Kyoto, dimostrano che non bastano le firme degli accordi per risolvere i problemi. Il vero cambiamento sta nella diversa consapevolezza dei cittadini. Solo così si combatterà la fame nel mondo, con la presa di coscienza da parte di tutti. Con Expo l’Italia ha sicuramente il merito di aver dato il via ad una discussione, non a caso anche Papa Francesco nella nuova Enciclica, parla di questi temi, che fanno parte degli impegni della Carta di Milano”.
L’Esposizione universale potrà contribuire a risvegliare i consumi interni di vino, caratterizzati da un calo che dura ormai da anni, o serve altro?
“Non credo proprio che servirà a questo, l’Expo non valorizza un singolo comparto. Può invece servire a riconfermare sui mercati internazionali che l’Italia è il vero leader nel settore dell’agroalimentare e del vino. E se sei percepito come leader, allora puoi anche riuscire a vendere di più. Il problema del consumo interno è legato ad un mercato saturo e alla moderazione nel bere alcolico per chi guida. Vedo il futuro non nel mercato interno, ma nell’allargare i mercati e nelle aziende che si quotano in borsa”.
La cultura del gusto e la con- sapevolezza di ciò che si mangia e beve in Italia a che livello è secondo lei in Italia? Cosa si può ancora pensare di fare per ‘formare’ il consumatore, specie quello più giovane, trasformandolo in testi- monial su cui investire nel futuro?
“In Italia, negli ultimi anni, la consapevolezza di ciò che si mangia e si beve è sicuramente cresciuta molto. Un’attenzione che è arrivata prima nel settore del vino e poi, con un po’ di ritardo, anche nell’agroalimentare, grazie al merito di tanti, compresi chef e trasmissioni televisive-radiofoniche, che si sono interessati a questo argomento. In tal senso Expo racconta la storia di molte imprese italiane che hanno saputo essere protagoniste nell’affrontare il mercato interno e che testimoniano un certo modo di mangiare. Si sta cominciando a capire l’importanza dell’educazione alimentare nella formazione delle nuove generazioni, e questo deve senz’altro diventare uno degli obiettivi della scuola nei prossimi anni, non solo in Italia ma in tutto il mondo. I bambini sono molto sensibili a queste tematiche e, se abituati fin da piccoli, cresceranno consapevoli su cosa scegliere e attenti agli sprechi e alla sostenibilità. Oltre alla scuola, un importante passo avanti può essere compiuto anche dai ristoratori, che rivestono un ruolo chiave, essendo i primi ambasciatori dei territori e potendo raccontare un prodotto mentre lo servono. Per questo ritengo sarebbe necessaria e auspicabile una formazione specifica”.