Quando si parla di Champagne DOP, fuori dalla Francia, si pensa al Dom Perignon, al Pommery, al Bollinger, al Laurent-Perrier, al Veuve-Cliquot, al Detz, insomma alle grandi marche che l’anno scorso hanno venduto nel mondo 312 milioni di bottiglie con un fatturato di 4,7miliardi di euro. Ma lo Champagne non è fatto solo dalle grandi star del perlage. Lo Champagne è fatto anche da 16mila piccoli e piccolissimi produttori, proprietari di piccole e piccolissime aziende di pochi ettari, che fanno una fatica boia a vendere non si dice all’estero ma anche qui in Francia.
Les petits vignerons, senza risorse finanziarie e bloccati anche nella crescita per il costo proibitivo dei terreni (da 400 mila fino a 2 milioni di euro ad ettaro) e dei «diritti d’impianto», non riescono a reggere la concorrenza dei colossi che possono permettersi il lusso, è il caso di dire, di campagne promozionali che si concludono, ovviamente, nei reparti dei supermercati dove una bottiglia di Champagne «grifato» pub scendere anche sotto i 25 euro, come avviene in questi giorni di Foire aux Vins, il più grande evento commerciale dell’enologia francese. «Abbiamo perso più di 20 milioni di bottiglie», protesta Maxime lbubart, cinque ettari di vigna a Breuil, nella regione della Champagne, appena eletto presidente del Syndicat général des vignerons de la Champagne, «e dobbiamo a tutti i costi recuperare».
Ma come? Con iniziative di marketing che includone passaparola tra i clienti, un utilizzo massiccio dei social (c’è da dire che quasi tutti i produttori hanno il loro sito, più o meno bello, ma comunque attrezzato per l’e-commerce) e l’apertura, dal 9 dicembre, a ridosso delle feste di Natale, di un «temporary outlet» sotto la grande cupola di vetro e acciaio di Les Halles inaugurata pochi mesi fa. Questa particolare Maison du Champagne DOP dovrebbe far scoprire ai parigini che per bere un buon calice non c’è bisogno delle «grandi firme».
Fonte: Italia Oggi