“Chiederemo al Parlamento di non ratificare l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada perché tutela solo una piccola parte dei nostri prodotti DOP e IGP” ha detto tre settimane fa, in un’intervista, il ministro per l’Agricoltura Gian Marco Centinaio.
Ratificare o no. Cosa cambia?
Se l’Italia si fermasse alla “non ratifica” il Trattato continuerebbe però a “vivere”, almeno in tutti quei capitoli – dall’addio ai dazi e alle barriere regolatorie, dalla tutela delle IGP alle aperture sugli appalti – che non sono di diretta competenza nazionale. Resterebbero, insomma, “congelate” solo le norme sulla disciplina degli investimenti e quelle sui controversi arbitrati “privati” per la risoluzione delle controversie Stato-investitore. Se, invece, il Parlamento lo bocciasse con un no esplicito, allora il Ceta potrebbe cadere per tutti i Ventotto. Lo prevede il Trattato stesso. Perché la ratifica nazionale prevede l’unanimità. E al momento si sono già espressi per il sì solo 11 paesi su 28: Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia. Insomma, non sono i ritardi nella ratifica che possono bloccare il Ceta, ma un veto parlamentare messo nero su bianco. Intanto grazie all’intesa di libero scambio, le nostre vendite nel Paese nordamericano sono cresciute a doppia cifra (+12,8%) nei mesi scorsi.
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Fonte: Sole 24 Ore