A oltre due anni dall’avvio dell`attuazione provvisoria del Ceta non posso che rallegrarmi di come i numeri dell`interscambio commerciale, così positivi per l’Italia, abbiano progressivamente smussato le posizioni di quelli che fino al settembre del 2019 presentavano il Ceta come una minaccia per la nostra economia, per la nostra salute e per l’ambiente. Finalmente il Ceta sembra uscire da quella narrativa poco razionale e un po` complottistica in cui era rimasto invischiato e inizia finalmente a essere osservato senza pregiudizi, così come avviene per tutti gli altri accordi di libero scambio (Corea del Sud, Giappone etc).
L’evidenza statistica degli ultimi due anni lascia ormai poco spazio per i dubbi: esportazioni aumentate di oltre 56o milioni per tutti i settori (compreso agroalimentare), aumento del saldo positivo della nostra bilancia commerciale di 470 milioni, benefici soprattutto per le Pmi grazie agli standard unificati etc. Il sempre più scarno partito anti-Ceta ha quindi finito per riconoscere a denti più o meno stretti i vantaggi oggettivi per le nostre imprese, tentando di tenere il punto con qualche circoscritta obiezione.
Mi è capitato ad esempio di sentire parlare di tutela insufficiente delle Indicazioni Geografiche di origine. Dalla situazione di sostanziale far west che ha preceduto il Ceta oggi sono ben1721e denominazioni Dop e Igp europee protette. Per l`Italia sono previste oltre 40 denominazioni che rappresentano oltre il 95% dell`export di prodotti Dop e Igp in Canada. Prima del Ceta non era prevista alcuna tutela per nessuna di queste Iigg ed è utile ricordare che si tratta di una lista in continua crescita con ulteriori 5 Iigg italiane aggiunte di recente.
Fonte: Il Sole 24 Ore