«Dal 1 gennaio 2017 – ha spiegato Giuseppe Rossi, presidente di Accredia, l’ente unico italiano di accreditamento chiamato a svolgere le verifiche tecnico-sanitarie sugli stabilimenti che richiedono la certificazione Halal ed Esma – gli Emirati Arabi importeranno solo prodotti alimentari dotati di certificazione Halal, ma molte aziende italiane del settore non lo sanno, non ne sono ancora consapevoli». L’Italia, dunque, sconta un ritardo. Non solo sul cibo.
Attualmente il mercato globale Halal viene stimato in circa 2.300 miliardi di dollari, ed è in crescita di 500 miliardi di dollari l’anno. I consumi di cibo hanno una crescita media, nei Paesi del Golfo Persico, che è di circa il 10% annuo, ad eccezione dell’Arabia Saudita i cui consumi crescono addirittura al ritmo del 40% annuo. In Italia i consumatori sono 4 milioni e da solo il settore del cibo Halal fattura 13 miliardi di euro: 8 miliardi provengono dall’esportazione e 5 miliardi dal mercato interno.
«In Italia – spiega ancora Rossi – comunque cresce l’interesse, soprattutto delle piccole e medie imprese, interessate a cavalcare nicchie di mercato nei Paesi islamici. Ma l’Unione Europea non si muove compatta sul punto. Ogni Paese comunitario decide in ordine sparso e, ad esempio, la Francia rifiuta di sottostare a qualunque certificazione imponga, ad esempio, l’assunzione di personale islamico per ottenere la conformità degli alimenti». Un paio di mesi fa anche la certificazione per formaggi DOP quali, tra gli altri, Asiago DOP e Grana Padano DOP da parte di grandi aziende come Latterie Vicentine.
Fonte: Il Sole 24 Ore