Primo round a favore del Consorzio dei vini della Valpolicella. Dopo due anni di braccio di ferro tra il Consorzio e l’Associazione Famiglie dell’Amarone d’Arte sull’uso del termine “Amarone”, il Tribunale di Venezia ha accolto le richieste del Consorzio della Valpolicella. Secondo la sentenza 2283/2017 del tribunale «una denominazione del vino e il suo territorio, compreso il suo nome, sono patrimonio comune di tutti i produttori, aderenti o meno al consorzio che tutela quella denominazione. Nessun produttore, o nessuna associazione di produttore, dunque, anche in buona fede, può utilizzare quei valori condivisi in maniera diversa».
Ciò premesso, sostiene il Consorzio, il tribunale ha ordinato alle Famiglie dell’Amarone d’Arte di «rimuovere dalla denominazione sociale qualsiasi riferimento alla Docg Amarone della Valpolicella, ivi inclusa la parola Amarone; ha accertato la nullità del relativo marchio italiano e ne ha pertanto vietato l’uso; ha inibito alla società consortile di svolgere attività promozionale avente ad oggetto Amarone della Valpolicella, riferendosi ad un “Amarone d’Arte” e/o ad un disciplinare diverso dal disciplinare di produzione. Infine ha ordinato di rimuovere dal sito web il cosiddetto “Manifesto dell’Amarone d’Arte”».
«Siamo soddisfatti della sentenza – osserva Olga Bussinello, direttore del Consorzio -. È una sentenza che farà giurisprudenza. Perchè? Perchè è la prima che arriva dopo il Testi unico del vino e stabilisce l’esatto confine tra brand aziendale e rispetto della Denominazione».
L’Amarone è uno dei tre grandi vini rossi italiani più conosciuti al mondo. Del grande rosso veronese si realizzano 13 milioni di bottiglie, con un fatturato superiore ai 300 milioni (prezzo medio 23 euro), di cui il 60% all’export. A trainare sono soprattutto Usa e Canada, seguiti da Svizzera, Svezia e Germania. Le Famiglie dell’Amarone d’Arte accreditano 2mila ettari di vigneto su circa 8mila del territorio e 2,2 milioni di bottiglie.
L’associazione Famiglie dell’Amarone d’Arte, nata nel 2009, è composta da 13 cantine storiche: Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato. I motivi di dissenso sono diversi, compresa l’opposizione all’estensione territoriale della Docg o anche e i limiti imposti (anche alla vendemmia 2017) ai quantitativi di uve da destinare all’appassimento. Le Famiglie dell’Amarone d’Arte faranno appello? Per ora non risulta nessuna reazione.