Le basi di partenza, per fortuna di stalle e caseifici, erano buone: il 2019 è stato un anno boom con record di forme prodotte (3,75 milioni), di giro d`affari al consumo (2,6 miliardi) e di export (il 41% del totale). E l`arrivo del Coronavirus, malgrado la chiusura dei ristoranti, non ha fatto crollare le vendite: «Nei primi tre mesi dell`anno il bilancio è di +5,2% – calcola Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio di tutela – grazie a un boom (+36%) delle vendite al dettaglio a marzo».
Ai primi contagi a Codogno, la filiera ha alzato un cordone sanitario attorno alle sue forme: il Consorzio ha chiesto all`Ue una modifica straordinaria al disciplinare con la possibilità di fare due caseificazioni al giorno, tutti i produttori hanno messo a disposizione le caldaie inutilizzate per i colleghi in difficoltà mentre i casari in pensione sono stati in allerta per dare una mano in caso di forfait sulla linea produttiva. «Ma solo quattro caseifici su 335 hanno dovuto attivare una di queste misure», racconta Bertinelli. Qualche intoppo, ovviamente c`è stato e il vero cruccio dei produttori rimane il prezzo, con le quotazioni all`ingrosso crollate in pochi mesi, tra dazi e coronavirus, del 30%. Tenere le forme stoccate è molto costoso. E così, malgrado le vendite al consumo finora siano andate bene, i prezzi sono sotto pressione. «Il problema è dei grossisti che vedono nero per la domanda nei prossimi mesi – dice Bertinelli ragion per cui comprano solo, facendo il loro mestiere, a prezzi ribassati». Non è difficile, visto che quattro aziende comprano oggi ai caseifici il 45% (le prime dieci il 70%) dei formaggi e hanno così il coltello dalla parte del manico.
Un problema in più in un mercato che fatica a far ripartire le esportazioni e dovrà fare i conti sono le guerre commerciali di Trump: «Gli Usa sono il nostro terzo mercato di sbocco e assorbono quasi il 20% dell`export – dice Bertinelli – Finora la forza del dollaro e il calo del prezzo della materia prima hanno consentito di parare il colpo dei primi dazi». Ma se la Casa Bianca alzerà ancora l`asticella i rischi potrebbero crescere. Il Consorzio, preventivamente e fiutando con ogni probabilità la possibile frenata, ha già bussato alla porta del Mise e della ministra dell`agricoltura Teresa Bellanova per chiedere una mano a dribblare – dopo il coronavirus anche il rallentamento dell`economia e le minacce Usa: «Servono aiuti per finanziare lo stoccaggio e ritirare dal mercato, magari dandole agli indigenti, eventuali forme in eccesso – racconta Bertinelli – e quando saremo fuori dalla crisi servirà una forte campagna per rilanciare il cibo italiano e i grandi DOP nazionali all`estero che pagano un pedaggio salato al coronavirus».
In attesa di capire quali risposte arriveranno da Roma e dalla politica, il mondo del Parmigiano Reggiano DOP continuerà la sua storica battaglia con i tentativi di imitazione del super-dop italiano alla voce parmesan, ormai superiori persino a quelli della Settimana enigmistica. «Abbiamo appena vinto una causa importante con la Campbell`s – dice Bertinelli – e stiamo mettendone assieme altre contro la Kraft in Australia e Nuova Zelanda ma è un lavoro improbo e molto costoso che in qualche modo meriterebbe più sostegno da parte della Ue, che potrebbe impegnarsi in prima fila nella guerra alla difesa dei suoi prodotti di punta».
Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza