Il coronavirus è un colpo al cuore dei prodotti DOP. Lo ha riconosciuto anche l’ultimo rapporto della Commissione europea: nel 2020 l’agroalimentare europeo dovrà fare i conti con una domanda sempre più sintonizzata sulle necessità di base e sempre meno sui prodotti di fascia alta. I consumatori, dice la UE, premiano pasta, riso, farina, frutta e verdura, mentre penalizzano i formaggi e vini DOP. E l’Italia è il secondo Paese UE per valore delle vendite di alimenti e bevande IGP, con un giro d’affari annuo che sfiora i 16 miliardi di euro.
Al Consorzio per la tutela del Taleggio DOP, la notizia che speravano non arrivasse è già arrivata: i primi produttori hanno cominciato a buttare le forme di formaggio. Eppure, il Taleggio è tra i primi sette formaggi DOP più venduti in Italia e ogni anno se ne producono qualcosa come 8 milioni di quintali. «Io posso solo confermare che per noi è tutto vero – ammette con una certa amarezza il presidente del Consorzio del Taleggio, Lorenzo Sangiovanni – da un giorno all’altro ci siamo trovati di fronte al canale della ristorazione che è stato chiuso, alle esportazioni che si sono dimezzate e ai clienti che hanno smesso di comprare ai banconi della gastronomia dei supermercati». Nel carrello, oggi, si preferiscono i formaggi già impacchettati, ma il Taleggio DOP che viene venduto così è solo una minima parte di tutto quello che viene prodotto. «Il nostro è un formaggio fresco – dice Sangiovanni – che incartato resiste poco. Dai 35 giomidistagionaturache servono per produrlo, possiamo salire fino a 6o. Oltre no». Oltre è da buttare. Appunto.
Il Consorzio del Gorgonzola DOP aveva già lanciato l’allarme qualche giorno fa: a marzo la DOP ha incassato il -31%. La colpa? In gran parte è della chiusura di bar, mense e ristoranti, ma gli acquisti sono diminuiti anche nei supermercati. «La situazione è diversa a seconda delle DOP, ma è indubbio che il 2020 non sarà un anno buono», spiega Cesare Baldrighi, presidente di Origin Italia, l’associazione che riunisce molti dei consorzi delle DOP e IGP italiane. «Le lamentele più grosse che ho ricevuto in questi giorni? Quelle dei produttori di prosciutto – dice Baldrighi – per loro sono venute meno le vendite ai bar, ai ristoranti e anche ai banconi dei supermercati. Il prosciutto in vaschetta rappresenta solo il 15% del loro fatturato». In pochi si salvano oggi, dice Baldrighi. Le uniche DOP ad andare bene, forse, sono solo il Grana Padano DOP, il Parmigiano Reggiano DOP e i Pecorino DOP: «Sono prodotti a lunga conservazione, che si trovano già impacchettati nei frigoriferi dei punti vendita e non costituiscono semplicemente un pasto, ma servono per cucinare».
Per il presidente del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana DOP, Domenico Raimondo, il problema non sta solo nella scadenza dei prodotti freschi o nel crollo di alcuni canali di vendita: «Inutile giraci troppo intorno – dice – questo è un momento di crisi in cui la gente non ha soldi e in cui il governo sta facendo solo promesse. Chi ha voglia di spendere di più, quando va a fare la spesa?». I produttori del consorzio sono in crisi, a marzo le vendite sono scese del -35% e aprile non manda segnali migliori: «Tra tutti i latticini – dice Raimondo – la mozzarella di bufala è il più costoso e quello che dura di meno di tutti in frigo. Eravamo la Ferrari dei formaggi, è bastato un attimo per diventare il fanalino di coda del comparto». Accusano il colpo i formaggi, ma lo accusa anche il vino di fascia alta: «I vini di categoria premium – spiega Ottavio Cagiano, direttore generale di Federvini – soffrono perla chiusura dei ristoranti, degli hotel e delle enoteche. Ma l’incremento di vendite nella grande distribuzione non riesce, se non in piccolissima parte, a compensare il differenziale». Al supermercato le bottiglie più costose un po’ ci sono poco, e un p0′ vengono scelte ancora meno.
Fonte: Il Sole 24 Ore