Il Mattino
«Siamo allo stremo. E senza più un futuro certo, che già non era una prerogativa di vita per chi come me, lavora in campagna. Ora anche questo. Dovete sapere che non riusciamo a vendere più nulla. I nostri prodotti sono marchiati come quelli di Caivano. Un concessionario che lavora e distribuisce su Roma, mi ha annullato tutte le ordinazione. Nei negozi della capitale, si vendono solo gli ortaggi che hanno la scritta «Prodotto in Campania. No a Caivano». E poi aggiunge: «La stessa cosa peri venditori ambulanti e quelli dei mercati rionali della zona, che non vengono più a comprare da noi». Vincenzo Laezza, 50 anni, di Afragola, proprietario del fondo dove la Forestale ha individuato più fusti velenosi.
In quella maledetta località Sanganiello, non ha ancora superato lo choc nel vedere quello che aveva sotto i piedi e sparso nel terreno dove crescevano i suoi ortaggi. Eppure accetta di parlare con i cronisti, a cui racconta lavicenda del «No a Caivano», proprio per far capire in che maledetto guaio è finito.