A che punto sono le aziende italiane nel cammino verso gli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu? Quanto si stanno impegnando nella transizione «giusta», ispirata dai 17 goals e dai Dieci principi delle Nazioni Unite, che le incoraggiano a promuovere un’economia globale sana, sostenibile e inclusiva? A tirare le somme saranno, domani e mercoledì, a Roma e in digitale, i lavori dei quinto «Italian Business and Sdgs Forum» del Global Compact Network Italia dell’Onu, che ha come main sponsor Enel e come sponsor Maire Tecnimont&rema, tutte e tre aziende aderenti (l’evento si può seguire su Twitter: (@FondazioneGCNI). Il Global Compact dell’Onu è la rete di 68 organizzazioni che aderiscono all’iniziativa strategica di cittadinanza d’impresa più ampia al mondo, quest’anno festeggia anche i vent’anni dalla sua nascita: era il 1999 e l’allora segretario dell’Onu Sofi Annan si presentò a Davos chiedendo ai leader di dare un volto umano al capitalismo.
Il Global Compact chiede alle undicimila imprese nel mondo (300 in Italia) che vi aderiscono, di fare concretamente proprie di rendicontare i progressi nell’ambito dei Dieci principi e dei 17 Obiettivi. «Metterci la faccia» è necessario, oggi più che mai: secondo il Social Progress Index 2020, con lo scenario attuale, l’Agenda Onu non è raggiungibile prima del 2082. Un ritardo di quasi sessant’anni che non ci possiamo permettere, con il rischio che la crisi post-Covid faccia slittare in avanti di altri dieci il traguardo.
Commenta Marco Frey, presidente del Global Compact Network Italia: «La cornice degli Sdgs e dei Dieci principi delinea una visione di futuro in cui si chiede al business di assumere un ruolo di primo piano insieme ad altri attori, come il pubblico. Oltre alla governance, quest’anno il forum ha individuato quattro aree chiave, che si inseriscono tutte nel percorso indicato dal Green Deal europeo, in cui le aziende possono e devono essere in prima linea in virtù delle loro caratteristiche e dei progressi che hanno già fatto». Si va dalla transizione energetica, verso un’economia decarbonizzata e circolare «sulla quale siamo posizionati bene e su cui possiamo spingere ancora, puntando sul redesign dei prodotti e servizi», nota Frey, all’agroalimentare, con il rafforzamento delle libere corte, all’insegna del from farm to fork, (dalla fattoria alla forchetta) fino al «nuovo» lavoro, quello smart che il Covid ha accelerato e, soprattutto, quello inclusivo che non lasci indietro donne e giovani.
«L’Europa, con il Green deal e il Recovery-fund, ci spinge a riconnetterci a questi principi — conclude Ftey —. Serve però un disegno strategico di medio-lungo periodo. Su questo ragioniamo a Roma: su come le aziende possano essere facilitatori di una transizione giusta. Quelle che si posizionano già oggi avranno un indubbio vantaggiocompetttivo».
È d’accordo Daniela Bernacchi, che del Global Compact è segretario generale: «Tante imprese si sono avvicinate agli Sdgs e ai Principi, ora si tratta di alzare l’asticella e iniziare a confrontarsi non solo coni progressi fatti ma anche coni propri impatti negativi, per mitigarli». Si tratta di cambiare punto di vista, con una presa di responsabilità sempre più forte. «il committment deve partire dall’alto, la sostenibilità è a tutti gli effetti un driver della strategia aziendale, non un’area separata del business. Coinvolgendo i ceo, ad esempio, abbiamo avuto il 25%di adesioni in più ai Women empowerment principles dell’Onu, che spingono le aziende a Impegnarsi perla parità e l’inclusione delle donne sul lavoro», spiega Bernacchi. Un tema particolarmente sensibile: il Covid rischia di vanificare i progressi fatti in questo ambito negli ultimi dieci anni. «Il virus ci ha insegnato una cosa fondamentale—chiude Bernacchi—: da soli non si vince. Tutti devono cogliere le sfide della sostenibilità e dell’inclusione. Non c’è più tempo».
Fonte: Il Corriere della Sera – L’economia