La certificazione dei prodotti italiani di qualita’ deve essere lasciata all’Unione europea. Con la pubblicazione in questi giorni dell’Atlante Qtialidta Food&Wine 2013 opera che raccoglie, per conto del Mipaaf, tutta la produzione agroalimentare e vitivinicola italiana a Indicazione geografica e biologica, è d’obbligo una riflessione sul sistema agroalimentare italiano certificato. L’Italia mantiene saldo il primato del numero di prodotti Ig registrati in Europa, confermando la straordinaria varietà del suo patrimonio agroalimentare: 814 Ig registrate; 254 prodotti agroalimentari (+6 nei primi 5 mesi del 2013); 521 prodotti vitivinicoli: 39 bevande spiritose. Numeri che dal 2010 si sono trasformati in 12 miliardi di euro di fatturato alla produzione. Anche il biologico è un settore in crescita a livello europeo e nazionale, nonostante la crisi. In Italia il comparto impiega oltre 48.000 operatori producendo un fatturato annuo che ha superato i 3 miliardi di euro. In un momento in cui i consumi nel settore agroalimentare si contraggono in tutti i Paesi occidentali, l’Italia ottiene il primato come primo Paese esportatore di prodotti biologici, nonché come primo produttore in diversi settori merceologici.
Un settore, soprattutto quello dell’ agroalimentare certificato, che resiste alla crisi, dimostrando una volta di più di essere un comparto solido e fondamentale per la nostra economia. Ma come succede a ogni potenziale campione, per raggiungere una dimensione ideale c è ancora molto lavoro da fare. Una delle questioni emergenti è quella relativa dell’aumento dell’offerta di denominazioni e di sistemi di certificazione. Accanto ai sistemi di certificazione riconosciuti e regolamentati dall’Ue (Dop, Igp, Stg e Bio) stanno proliferando marchi pubblici e privati di natura volontaria indirizzati agli operatorio ai consumatori che definiscono standard di qualità dei prodotti agroalimentari.
Negli ultimi tempi si è parlato molto, ad esempio, delle denominazioni comunali (Deco) diventate improvvisamente lo strumento primario per difendere le diversità. Premettendo che nessuno vuole colpire la capacità degli amministratori locali di valorizzare le eccellenze enogastronomiche dei territori, credo che un eccessiva frammentazione legata alle denominazioni locali non faccia altro che generare confusione, togliendo competitività sui mercati, specie quelli stranieri, che chiedono qualità, riconoscibilità e organizzazione, anche commerciale. Senza contare che una cattiva gestione dei sistemi di certificazione non fa altro che togliere autorità all’azione dell’Unione in tema di tutela delle produzioni di qualità. Anche su questo piano la battaglia è ancora lunga, ma l’approvazione, lo scorso settembre, del pacchetto qualità, con nuove regole per tutelare i prodotti certificati dalle usurpazioni e imitazioni, va nella giusta direzione. La spinta individualista che ancora affligge l’Italia rischia fortemente, di penalizzare e non di rafforzare, nel lungo periodo, la produzione tipica di qualità specialmente alla vigilia di quell’Expo che porrà l’Italia al centro del palcoscenico mondiale.
L’Esposizione universale di Milano sarà un opportunità irripetibile per promuovere il Made in Italy agroalimentare. Le filiere agroalimentari di qualità devono presentarsi con un progetto promozionale coerente e articolato, che persegua due obiettivi specifici: rendere consapevoli i giovani sul valore di agricoltura, cibo di qualità e ambiente e rafforzare la conoscenza dei prodotti italiani di qualità certificata nei consumatori esteri. Il bisogno di intercettare e informare i nuovi consumatori, si accompagna con la necessità di saper fare impresa e di saper difendere il vero Made in Italy attraverso una politica accorta e lungimirante. Sul tavolo della politica agricola italiana, fermo restando che la questione principale rimane la Pac, dovranno trovar spazio anche le questione relative alle comparto dei prodotti certificati. Che rimangono una bussola nelle esportazioni dove cresce l’esigenza della sicurezza e tracciabilità.
L’Italia ha una grande occasione per rinsaldare la sua leadership nel settore della qualità alimentare a livello mondiale. Ma per far questo occorre uscire dalle beghe di quartiere e dotarsi di un progetto di sistema dove ci sia una piena cooperazione tra produzione, politica e sistema culturale. Senza questa collaborazione le dinamiche dei mercati, quelli dominati dalla grande industria alimentare internazionale, prenderanno il sopravvento a scapito della nostra tradizione ma soprattutto del nostro sistema produttivo.
20130607_Foodpolitics.pdf