Mentre i consumi di carne rossa nel complesso perdevano quote, la Bresaola della Valtellina IGP dal 2000 al 2015 guadagnava il +35%. E ora il Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina che rappresenta l’indicazione geografica protetta, 14 aziende che danno lavoro a circa 1.500 persone nel distretto a nord della Lombardia, hanno deciso di lanciare un’operazione trasparenza, giocando di anticipo sulle regole attese dall’Unione Europea in materia di etichettatura.
“Per fare le 12.500 tonnellate Bresaola di Valtellina IGP prodotte nel 2015 – spiega Claudio Palladi, amministratore delegato del Salumificio Rigamonti, uno degli associati al consorzio – servono circa 25mila tonnellate di carne fresca. Servirebbero circa 2 milioni di capi di razze bovine selezionate, di età non inferiore ai 18 mesi e non sopra i 4 anni, allevati all’aperto. In Valtellina abbiamo circa 5-6mila capi, in Italia ci sono circa 5 milioni di capi, per lo più vacche da latte”.
Risultato: la carne si importa, da Francia, Irlanda e Sudamerica. Il disciplinare del consorzio, varato alla fine degli anni Novanta, lo ammette: ciò che distingue la Bresaola della Valtellina IGP è la scelta delle carni da parte dei produttori delle alpi lombarde e la lavorazione in loco, con salagione a secco, aromi naturali e un riposo di 10 giorni, alternato a massaggi, per far assorbire bene i sapori. Il consorzio ha lanciato online una pagina del proprio sito dedicata all’origine della materia prima. “Sono prodotti tracciati puntualizza il presidente, Mario Della Porta -. Il Parlamento europeo ha votato una mozione perché, come per la carne fresca, sia indicata l’origine del prodotto in etichetta, stiamo aspettando che la Commissione Europea ci dica come farlo”. Nel frattempo, il portale sopperisce alla richiesta di informazione per quella carne che diventa Bresaola della Valtellina IGP. Secondo una ricerca di Doxa, in tandem con il consorzio, il 54% degli italiani intervistati non sapeva che molti tagli venissero dal Sudamerica e dichiara di non avere problemi. Il 21% risponde di esserne già a conoscenza mentre il 25% spiega che è fonte di preoccupazione.
Fonte: QN – Il Giorno