Dati certi per tutti, minor carico burocratico, aumento della trasparenza: il futuro del food passa dalla blockchain. Tanto che l’ultima edizione di Tuttofood ha dedicato al tema un’area della fiera, dove per due giorni si alterneranno dibattiti e incontri sul tema. A inaugurare la Blockchain Plaza, il ministro Gian Marco Centinaio, che ha affermato come il governo si stia già muovendo in questa direzione: “La blockchain può essere un supporto per le imprese agricole a tutela dei marchi e della genuinità dei prodotti nazionali”. Vincoli oggettivi suggeriscono alla filiera agroalimentare italiana di puntare su qualità e innovazione. Basti pensare che dimensione media delle aziende agricole in Italia è di 12 ettari, rispetto ai 58 ettari della Francia, 130 della Repubblica Ceca, 178 degli Stati Uniti e 202 del Brasile.
Insomma, non ancora una necessità forse, ma una reale opportunità per le tipicità locali, per la trasparenza verso il consumatore e per garantire la filiera produttiva. Una tecnologia guardata con interesse soprattutto dai consorzi di prodotti a indicazione geografica. Lo sottolinea nel suo intervento anche Cesare Baldrighi, presidente del consorzio Grana Padano e di Origin, organismo di rappresentanza dei prodotti Dop e Igp tricolori.”I consorzi probabilmente sono i più affini alla filosofia blockchain, purchè la tecnologia possa essere di facile accesso. Nel mondo dei consorzi ci sono anche produzioni molto piccole per cui altrimenti potrebbe essere complicato”.
Per Maria Chiara Ferrarese, vicepresidente di Csqa, un’opportunità da cogliere anche in vista dei trend lanciati dalla grande distribuzione: “Dobbiamo essere proattivi. Al momento non è una necessità impellente ma bisogna guardare anche alla Gdo. Quando la Gdo si muove significa che qualcosa succede e che le aziende dovranno adeguarsi. E’ il momento per promuovere modelli di blockchain che consentano di collegarsi a quelli della Gdo e non essere succubi di quanto ci viene proposto. Un rischio altrimenti potrebbe essere che un’azienda debba registrarsi a diversi sistemi di blockchain”. Serve quindi lavorare verso un linguaggio comune dove tutti parlino la stessa “lingua digitale” per fare tracciabilità.
Fonte: La Repubblica