Una rinascita partita dal basso, spesso lontana dalle grandi logiche di mercato, dal 1995, in Italia, ha portato allo sviluppo di un nuovo spirito birraio. Gli Italiani sono tornati a produrre la loro birra. Rinascita perché prima della seconda guerra mondiale in Italia c’erano molte produzioni di birra di piccole e medie dimensioni. Adesso, con un percorso di quasi vent’anni possiamo vantare in Italia circa 600 Microbirrifici, oltre a 16 stabilimenti industriali con una reputazione internazionale in fortissima crescita e con consumatori incredibilmente innamorati dei nostri prodotti brassicoli.Le stime dell’Università degli Studi di Macerata per questa tipologia di mercato parlano di una contribuzione alla creazione del valore aggiunto nazionale di oltre 1 miliardo di euro annui, mentre i dati del rapporto Assobirra del 2012 ci raccontano di 4700 occupati diretti e 144.000 addetti totali, compreso l’indotto allargato. Numeri “acerbi” che nascondo un potenziale enorme. Ogni regione ormai ha i suoi microbirrifici e il concetto di birra di qualità abbinata anche alla cucina italiana è apprezzato anche ad alti livelli. Manifestazioni, fiere ed eventi dedicate alle birre si stanno sempre di più radicando a significare che c’è molto interesse e voglia di birra di qualità da parte dei cittadini/consumatori.
Tutto questo virtuosismo ha spinto i primi birrai a fare sempre meglio creando birre Italiane riconosciute a livello mondiale per la loro qualità e carattere, mentre sono nati molti nuovi birrai che, ispirandosi ai primi, hanno saputo sviluppare nuovi stili di birre tutti Italiani. Stili legati a sapori che devono molto alla vocazione naturale del territorio italiano a produzioni agricole di qualità. Ma, come spesso succede, il nostro sistema paese non è stato capace di cogliere “al volo” questo fenomeno e adesso serve una spinta per crescere ulteriormente, un nuovo input sotto diversi aspetti. Quello fondamentale è sicuramente legato alle materie prime provenienti dalle coltivazioni agricole, sostanzialmente luppolo e cereali (orzo su tutti), che i grandi e piccoli birrifici italiani sono costretti ad importare dall’estero per una gran parte della produzione. “Per quanto riguarda le materie prime – sostiene l’esperto di settore Antonio Massa – siamo costretti ad importarne dall’estero oltre il 90%. Specialmente per il luppolo si parla della quasi totalità, in arrivo da Usa, Gran Bretagna, Belgio, Germania, Europa dell’est e perfino dalla Nuova Zelanda.”
Dato il successo dei nostri birrifici, in termini di saperi artigianali, export e valore, il paragone con l’evoluzione del mondo del vino viene subito alla mente. Un mondo, quello del vino italiano, che per tante ragioni dovrebbe essere un modello in cui l’aspetto più significativo è forse quello legato alla capacità sviluppata negli anni, di mettere a sistema le opportunità di produzione agricola. Per quanto riguarda la birra questo passaggio rimane in una situazione di stallo senza risposte risolutive. Per superare questa fase di crescita potrebbe essere utile capire come sia possibile coinvolgere il settore agricolo per aumentare la produzione di cereali e luppolo e creare un modello per renderla il più costante possibile. La motivazione è che i tanti birrifici italiani, forti del successo già ottenuto, sono pronti ad attingere a materie prime con peculiarità organolettiche derivanti da un territorio che ha molto da offrire ai consumatori di tutto il mondo. Per non perdere un’occasione ben evidente è necessario creare una sinergia, un filo diretto capace di coinvolgere gli elementi del settore: i birrifici e le aziende agricole.
Un processo ambizioso che ha bisogno di interlocutori forti per garantirne una diffusione rilevante. Per favorire l’esplosione del settore non dovrà mancare l’apporto di soggetti capaci di catalizzare molte energie come le associazioni di categoria, i consorzi e le associazioni agricole, e come enti pubblici territoriali affiancati dagli istituti di studio e ricerca di agraria, forti di conoscenze necessarie ad uno sviluppo di lungo periodo. Se sarà possibile mettere in connessione il mondo della birra e i produttori agricoli creando un modello di sviluppo sostenibile, sarà realizzabile un’ulteriore passo in avanti dell’agricoltura italiana in grado di incidere sul piano economico creando ricchezza. Sul piano del lavoro si favorirebbe l’occupazione, specialmente quella giovanile e sul piano ambientale, alla riqualificazione di zone abbandonate si affiancherebbe la capacità dimostrata dal settore della birra di utilizzare la “filiera a valle” per le produzioni agricole.