La Commissione europea – a fine mandato – mette in pista l’annunciata riforma dell’agricoltura biologica. Ma l’Italia – tra i paesi leader, con quasi due milioni di ettari, 50mila operatori e una spesa superiore ai due miliardi di euro per l’acquisto di prodotti «naturali» stempera subito la proposta evidenziando la necessità di una «lettura» e di una revisione più attenta. A partire dalla esclusione «tout court» dal settore delle aziende miste convenzionali e bio – per agevolare i controlli, e dalla certificazione di gruppo previste da Bruxelles. La proposta di riforma dal commissario all’Agricoltura, Dacian Ciolos, che dovrebbe essere operativa dal 2017, con deroghe e un periodo transitorio di applicazione per i settori delle sementi e degli animali da riproduzione, fissa una dozzina di «paletti», a partire dal «totem» Ogm-free. Per questi l’Unione europea ricorda infatti
Agrisole – Il Sole 24 Ore
che i prodotti bio sono per definizione privi di organismi geneticamente modificati, e che ai fini dell’etichettatura è tollerata una presenza accidentale, e non intenzionale, nella misura dello 0,9% per ingrediente. Secondo punto «qualificante» della proposta, l’esclusione dal settore di aziende agricole miste, convenzionali e biologiche, per agevolare i controlli. Quest’ultimi, a loro volta, verrebbero quindi estesi a tutta la filiera, facendo decadere la deroga alla distribuzione per i prodotti pre-confezionati. Per i fitofarmaci, la presenza di residui verrebbe armonizzata per consentire una concorrenza leale tra gli Stati membri. Altra novità, dall’entrata in vigore della riforma il 100% dei mangimi utilizzati dovrebbe essere bio. E negli allevamenti, nelle fasi finali di ingrasso, non sarebbe più consentito mantenere fermo il bestiame nelle stalle.