La recente decisione dell’Agenzia Onu per le Biodiversità di proteggere gli Oceani del Pianeta è un passo importante nella tutela del clima ma deve ora portare i singoli Stati nazionali aderenti – Italia inclusa – a chiedersi come moltiplicarne l’impatto in tempi assai brevi.
Per comprendere il valore della protezione degli Oceani bisogna partire dalla Conferenza Onu sulle Biodiversità del 2022 che, tenutasi a Montreal in Canada, approvò un’agenda ambiziosa per “invertire il corso della distruzione della Natura” dandosi ventitré obiettivi, primo fra tutti il “30 x 30” ovvero riuscire a proteggere entro il 2030 almeno il 30% di terre e mari del Pianeta. Lì dove “proteggere” significa anzitutto impedire la deforestazione sulla terra e l’inquinamento dei mari perché si tratta di due immensi spazi naturali che assorbono l’ossido di carbonio, contribuendo in maniera decisiva a ridurre l’inquinamento ed i gas serra che determinano i cambiamenti del clima.
Grazie alla decisione dell’Onu sugli Oceani la percentuale di superficie marina del Pianeta adesso “protetta” è salita all’8%, mentre quella delle terre emerse è del 16%, ma poiché mancano solo sette anni al traguardo del 2030 è legittimo chiedersi cosa i singoli Stati nazionali possono fare, ognuno sul proprio territorio, per raggiungere la prevista quota globale del 30%.
Al momento c’è chi si distingue, come il Gabon in Africa Centrale, per un’iniziativa sulla tutela della foresta pluviale che gli ha consentito di riuscire a toccare quota 20% di protezione e chi, come il piccolo regno himalayano del Bhutan arriva addirittura al 50% grazie all’intoccabilità delle aree verdi che “catturano” anidride carbonica.
Poi vi sono Paesi come l’Indonesia che – ferma al 12% – accetta aiuti internazionali dai Paesi Scandinavi per rimediare alla deforestazione selvaggia subita ed autorizzata degli ultimi anni. Diversa la strategia del Canada che per tutelare la foresta boreale – ed andare oltre l`attuale livello del 15% – finanzia con fondi pubblici le tribù indigene, discendenti dei primi abitanti del Nordamerica, affinché gestiscano interventi diretti pro-clima sui rispettivi territori ancestrali.
Gli Stati Uniti sono al momento fermi al 13% ma il presidente Joe Biden è un convinto sostenitore dell’obiettivo “30 x 30” che si propone di raggiungere con facilitazioni di ogni genere a favore di agricoltori, proprietari di ranch ed anche riserve di caccia. Sul fronte opposto c’è invece la Russia di Vladimir Putin, ferma ad un assai basso 11% di tutela del suo territorio – il primo al mondo per kmq – nonché decisa avversaria, assieme alla Cina popolare, della protezione delle acque dell’Antartico.
E l’Unione Europea, sostenitrice delle biodiversità e roccaforte del movimento “Fridays for Future”? Con il programma “Natura 2000” copre circa il 18% del Vecchio Continente perché si tratta di un network di circa 27 mila luoghi da proteggere in 27 nazioni ma l’Italia, ferma al 15% di “protezione” del proprio territorio potrebbe cogliere l’occasione e tentare di spingere Bruxelles a compiere un vero e proprio salto di qualità. Se infatti finora il nostro Paese ha posto sotto tutela 25 parchi nazionali, 143 parchi naturali e circa 3000 siti di diversa tipologia, potrebbe adesso inaugurare analoghi provvedimenti destinati a tutelare aree naturali assai più estese.
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Fonte: La Repubblica