Italia, con i suoi 60 milioni di abitanti, ha un fabbisogno alimentare giornaliero pari a 120 miliardi di calorie, considerandone una media di 2.000 a persona. In un regime alimentare bilanciato, come la dieta mediterranea, significa alimentarsi con uno schema composto da macronutrienti così suddiviso: 45–60% di glucidi, in prevalenza complessi (come gli amidi dei cereali), 10–12% di proteine, 20– 35% di grassi, con una percentuale di quelli saturi (contenuti prevalentemente in quasi tutti i prodotti animali tranne il pesce) inferiore al 10%.
Se consideriamo l’arco temporale di un anno circa, facendo una media dei cicli dei principali prodotti vegetali e animali, la quantità complessiva del fabbisogno calorico tradotto in derrate alimentari quali frutta, verdura, pane, pasta, riso, latte, carne, olio, pesce, acqua ecc. è impressionante. Questo ci induce a pensare che se, per qualsiasi motivo, l’Italia all’improvviso non potesse disporre di cibo, dovrebbe avere una capacità di stoccaggio, quindi magazzini e infrastrutture logistiche, in grado di contenere una quantità di prodotti tale da garantire la propria sicurezza alimentare. Il tema dello stoccaggio di derrate non è poi così irreale e con l’emergenza Covid- 19 è emerso in maniera concreta. Le lunghe file ai supermercati e le immagini degli scaffali vuoti ci hanno posto la questione della necessità di scorte per far fronte a periodi di emergenze straordinarie.
Negli ultimi cinquanta anni in Italia abbiamo vissuto nell’abbondanza alimentare, che ha generato nella stragrande maggioranza della popolazione un sentimento di sicurezza, fatta salva quella fetta di persone che hanno vissuto la Seconda Guerra mondiale, ultimo periodo di ristrettezze di cibo nel nostro Paese. Se analizziamo il fenomeno con più attenzione, i periodi di penuria di derrate alimentari possono essere sempre più probabili con cause scatenanti legate a molteplici fattori molto attuali. In primis l’instabilità dei mercati mondiali, con oscillazioni dei prezzi sempre più forti tali da ripercuotersi sulla disponibilità delle materie prime. Ma anche le frequenti crisi climatiche come alluvioni, siccità e gelate che sempre più impattano sul ciclo del mondo agricolo. Senza considerare le guerre, le chiusure delle frontiere alle esportazioni, le questioni dei dazi commerciali. Alla base di tutto ciò ci sono anche alcuni dati strutturali che dovrebbero allarmarci: la crescita demografica e l’aumento di un benessere diffuso non sostenibile a livello globale, con necessità sempre maggiore di alimenti come carne, cereali e latte in conseguenza all’aumento delle calorie nelle diete di Paesi un tempo caratterizzati da stili alimentari poveri. Ed il contesto geografico non è poi così rassicurante, con la diminuzione del suolo coltivabile e delle risorse agricole. Questo scenario mondiale di turbolenze e criticità strutturali e ambientali interessa da vicino l’Italia che è un importatore netto di molte materie prime alimentari: quasi 5 miliardi di euro di cereali, 6,5 miliardi fra animali e carni, 6 miliardi di prodotti ittici, 3,3 miliardi di oli e quasi un miliardo di euro di latte.
Come gestire le eventuali diminuzioni di materie prime che potrebbero interessare anche il nostro Paese? Quali strategie organizzare?
Alcune nazioni in questi anni si sono messe in moto con grande oculatezza. Basti pensare alla Cina che ha comprato moltissimi spazi fertili dell’Africa in modo da garantire cibo ad una popolazione crescente e sempre più esigente anche sotto il profilo alimentare. Anche il Giappone, Paese ben organizzato a gestire le emergenze, ha adottato un sistema ad hoc di food security.
La Svizzera ha individuato la soluzione più vicina a quella che potrebbe essere la risposta italiana. Attraverso un apposito documento strategico votato dal Consiglio federale, il Governo svizzero gestisce le scorte obbligatorie di ogni genere tramite un apposito ufficio che fa capo al Dipartimento federale dell’economia. Oltre alle materie prime alimentari, gli stoccaggi obbligatori riguardano idrocarburi, medicinali e acqua. Nello specifico, l’immagazzinamento del cibo è demandato a un’organizzazione di cui fanno parte gli operatori più importanti del settore che agisce su precise regole pubbliche. Ai soggetti soci della cooperativa lo Stato garantisce eventuali perdite finanziarie per le fluttuazioni dei prezzi attraverso dei fondi di garanzia. Oltre all’immagazzinamento, la cooperativa deve garantire la qualità e la quantità prevista dal Piano votato dalla Confederazione. Un meccanismo che si fonda sulla collaborazione fra settore privato e pubblico e che permette allo Stato di conoscere le disponibilità e le allocazioni previste per legge e adempiere in tal modo al dettato costituzionale che all’articolo 102 recita: “La Confederazione assicura l’approvvigiona- mento del Paese in beni e servizi vitali in caso di minacce d’ordine egemonico o bellico nonché in caso di gravi situazioni di penuria cui l’economia non è in grado di rimediare da sé. Prende misure preventive”.
Un piano europeo. L’Italia gestisce in maniera analoga solamente la scorta obbligatoria dei prodotti petroliferi. In quanto Paese membro dell’Unione Europea che aderisce all’Agenzia Internazionale dell’Energia, adempie all’obbligo di mantenere scorte per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti in caso di crisi nazionali ed internazionali. L’emergenza del Covid-19 offre all’Italia, e non solo, l’occasione di ripensare alle modalità di gestione delle crisi. Nel futuro ci saranno molte sfide da affrontare come il lavoro, la ripresa economica, l’immigrazione, il clima ed ognuna di queste impatterà sempre più sulla vita dei cittadini. La sicurezza alimentare, tema riservato finora solo ai Paesi “poveri”, dovrà per forza rappresentare anche un tema della nuova agenda politica nazionale, ma soprattutto dell’Europa. Per questo motivo sarebbe opportuno quanto prima approntare un piano europeo capace di far fronte alla scarsezza di cibo perché, come si sa, l’emergenza non conosce le buone maniere: non si preannuncia mai!
A cura di Mauro Rosati
Fonte: #Natura