Anche la finanza speculativa è una delle cause dell’inflazione alimentare che colpisce il nostro Paese
Leggendo i rapporti mensili dell’ISTAT sui prezzi al consumo degli ultimi anni, si avverte la sensazione di essere di fronte all’esaurimento del potere d’acquisto da parte degli italiani: novembre 2012 ci consegna l’aumento del 5,5% sulla frutta, del 2,5% sulla carne e del 6,4% sulle uova. La domanda spontanea che ogni consumatore si fa di fronte a questi eccessivi rialzi è: chi ci guadagna se né le aziende agricole né la distribuzione vedono aumentare significativamente i loro profitti?
Che la finanza ricoprisse un ruolo sempre più rilevante nelle nostre vite abbiamo iniziato a capirlo un po’ tutti, soprattutto da quando il termine spread è entrato a far parte nel nostro linguaggio quotidiano. Se lo spread si ripercuote indirettamente sulle famiglie, in quanto lo Stato, in caso di andamento negativo, è costretto a rifinanziare il debito e quindi inevitabilmente a ridurre la spesa e/o aumentare la tassazione, il settore finanziario agisce anche direttamente e in modo prorompente sulla quotidianità dei consumatori. Il punto di contatto tra questi due mondi, apparentemente distanti, è rappresentato dall’agricoltura.
La cosiddetta finanziarizzazione dei mercati agricoli risale al 1800, quando, con la liberalizzazione dei mercati finanziari nascono strumenti di copertura del rischio legato all’imprevedibilità dei mercati, come ad esempio i futures, contratti tra agricoltori e compratori e tra questi ultimi e i trasformatori, stipulati per garantire i coltivatori dal pericolo della fluttuazione dei prezzi, particolarmente presente in questo settore. Gli attori economici coinvolti decidono in tal modo di condividere il rischio ed accettano di non ottenere alti guadagni. Un meccanismo che nasce dunque con il positivo intento di proteggere il settore agricolo, ma che poi è degenerato. Il passo è stato abbastanza breve e si può riassumere così: appena è stata intravista la possibilità di utilizzare questi strumenti per trarne profitto, la finalità originaria è stata sopraffatta dalla logica del guadagno e quindi la tutela del mondo agricolo ha lasciato spazio agli interessi di speculatori che hanno fatto delle borse merci il luogo in cui costruire le loro fortune, dando vita ad una speculazione pesante che ha portato con sé conseguenze gravissime. Scommettere sulla variazione del prezzo di una determinata commodity nel breve periodo è divenuta una delle maggiori attività di banche di investimento, hedge fund, fondi pensione, etc. Gli speculatori finanziari che dominano il sistema dei futures dei prodotti agricoli e che erano il 12% del mercato nel 1996, oggi rappresentano il 62% circa. Gli asset finanziari riguardanti il cibo sono passati da 65 miliardi di dollari del 2006 a 126 nel 2011. Grazie al mercato dei futures, alcune grandi banche, come Barclays e Goldman Sachs, hanno realizzato utili per cifre enormi, pari a sette volte la cifra che l’UE stanzia per il suo programma contro la fame nel mondo.
La conseguenza è che la speculazione che interviene sui mercati finanziari determina a cascata atteggiamenti speculativi da parte di tutti gli attori della filiera, da cui consegue l’eccessiva oscillazione dei prezzi dei prodotti agricoli, che dal 2001 al 2011 sono duplicati, causando le famose crisi alimentari del 2007 e 2008. “La situazione è degenerata a causa dalle compagnie che fanno investimenti di private equity nel mercato alimentare, approfittando del prevedibile andamento dei prezzi”, ha affermato Jean Ziegler, Relatore speciale sul diritto all’alimentazione per la Commissione sui diritti dell’uomo dell’ONU.
A tutto questo si aggiunge un altro fattore, strettamente collegato alle speculazioni finanziarie, e cioè che poche potentissime multinazionali – Cargill, Continental, Louis Dreyfus, Bunge&Born e Toepfer – controllano il 90% del mercato cerealicolo globale.
Come in un gioco a somma zero, se da una parte c’è chi vince, dall’altra parte c’è chi perde. A fronte dei miliardi di guadagno degli speculatori, ci sono milioni di persone che nei Paesi in via di sviluppo a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità non riescono più ad acquistare cibo. Dalla metà del 2010 l’aumento dei prezzi ha ridotto altri 44 milioni di persone in condizioni di estrema povertà.
Una situazione allarmante, che rischia di peggiorare ulteriormente se ciò che per ora è ancora un fenomeno in essere, diventerà un vero “affare”, cioè la mercificazione dell’acqua, un bene pubblico che per alcuni è già considerato “l’oro bianco” sui cui investire. Nel futuro allo spread agricolo dovremo pensare anche allo spread idrico.
20121214_Food_Politics.pdf