Solo qualche precisazione in merito alla querelle sull’Asti DOP. Una diatriba che personalmente trovo tanto stucchevole quanto inutile. Dunque il presidente della Produttori Moscato, tra le sue varie analisi, ritiene che io, in qualità di presidente di Confagricoltura Asti, abbia in qualche modo sostenuto l’allargamento della zona di produzione delle uve moscato DOP. È una mezza verità. Nel Consiglio comunale aperto convocato dal Comune di Asti per dibattere sull’eventualità di inserire la città di Asti nell’area di produzione del Moscato DOP, non ho sostenuto tout court l’inserimento di Asti città nell’area del moscato, né la difesa dei vignaioli del capoluogo, né gli interessi di qualche grande gruppo vinicolo. Al contrario ho inteso battermi per la tutela dell’intera filiera del Moscato DOP.
La legge europea, infatti, nonostante fantasiose e creative interpretazioni, obbliga l’inserimento della località da cui il vino prende nome nella zona di produzione. In soldoni secondo la Ue l’Asti DOP, proprio perché si chiama «Asti», dovrebbe farsi anche ad Asti e non solo nei 52 Comuni tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo. Il che oggi, per una serie di errori e omissioni fatte in passato, non accade. E questo, è bene ribadirlo, pone dubbi non da poco. Ne sanno qualcosa i produttori friulani del vino Tocai che, dopo più di un secolo, hanno dovuto cambiare nome al proprio prodotto in favore dei colleghi ungheresi della città di Tokaji, dove si fa l’omonimo vino, cui la UE ha riconosciuto, al di là delle differenze di prodotto, l’esclusiva del nome. O quelli del Prosecco (che è imbottigliato anche in Piemonte) che hanno allargato la zona dal Veneto fino al Friuli per comprendere nell’area della DOP il paesino Prosecco proprio a scanso di eventuali contestazioni sul nome del famoso spumante.
Fonte: La Stampa