Agli agrumi siciliani, un comparto economico che da solo vale il 58% di tutto il settore italiano, non mancano i problemi. Tristeza virus, siccità e rete di distribuzione delle acque irrigue le criticità da fronteggiare nelle campagne. Prezzi spesso troppo bassi alla produzione, barriere fitosanitarie più rigide in entrata per fronteggiare la concorrenza di agrumi provenienti dall’estero sui mercati nazionali e internazionali. Tracciabilità in etichetta e maggiore percentuale di prodotto siciliano da ottenere sul fronte dei prodotti industriali, come i succhi.
Si tratta però di un settore ricco di eccellenze, tra produzioni biologiche e a marchio di qualità: l’Arancia di Ribera DOP, unica tra le DOP, l’Arancia Rossa di Sicilia IGP, che potrebbe presto approdare in Cina con il supporto del gigante cinese Alibaba, il Limone di Siracusa IGP e il Limone Interdonato Messina IGP, presidio slow food del Palermitano.
Un comparto da valorizzare molto più di quanto lo sia oggi, secondo alcune linee condivise da produttori, commercianti e industriali della trasformazione, che Distretto Agrumi di Sicilia, Cia, Confagricoltura, Copagri e Confcooperative insieme con i consorzi di tutela delle produzioni DOP e IGP e i produttori biologici hanno racchiuso in un documento, presentato a gennaio prima all’assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera e poi al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, nell’era Maurizio Martina – Giuseppe Castiglione.
Qualcosa (poco) s’è mosso in questi mesi. La Regione ha da poco pubblicato un bando misura 5.2 del PSR Sicilia 2014-2020 (7,5 milioni di euro, copertura del 100% delle spese) per intervenire su Tristeza Virus. Bene, ma una goccia nel mare secondo alcuni. Risorse ancora non sufficienti per debellare la malattia che rinsecchisce gli agrumeti e che fino ad oggi solo i grandi produttori sono stati in grado di affrontare.
Molto c’è da fare, soprattutto in riguardo a quel “Piano nazionale di settore” rimasto nei desiderata di quel documento che l’11 gennaio approdò a Roma. Piano che dovrebbe, ovviamente, occuparsi del Tristeza Virus anche «con interventi di riordino della fase vivaistica» e di «programmare una campagna triennale di comunicazione istituzionale al consumo sulle produzioni agrumicole italiane IGP, DOP e Biologico di fresco e trasformato», oltre che sostenere la diffusione di spremiagrumi automatiche in scuole e ospedali per incentivare il consumo del prodotto fresco. In più, favorire «un regime fiscale vantaggioso e la riduzione di alcuni costi per le imprese siciliane, facendone valere la condizione di insularità» e «proteggere le nostre produzioni dall’ingresso di quelle provenienti dal bacino del Mediterraneo con maggiori controlli all’ingresso e barriere fitosanitarie».
Sul fronte del prodotto trasformato l’esigenza è “ottenere la tracciabilità con una chiara indicazione in etichetta sulla provenienza della materia prima e del luogo di trasformazione». Necessario anche attivare un «percorso di monitoraggio delle superfici coltivate, delle quantità e qualità commercializzate e trasformate», adottando i «registri di trasformazione industriale» e introducendo «l’obbligo di inserimento nei fascicoli aziendali di dati relativi non solo alle specie ma anche alle varietà coltivate». Perché per vendere bene, è meglio sapere quanto e cosa si produce.
Fonte: La Sicilia