Il trend dell’agroalimentare italiano è positivo, come segnala una nota tecnica dell’Ismea su dati Istat 2016, con la crescita annua di un punto percentuale per un valore di 7,27 miliardi di euro (+74 milioni di euro sul periodo corrispondente). I fattori propulsivi sono diversi, alcuni diretti, altri indiretti: incide la crescita del Pil nazionale e soprattutto della domanda estera (nel terzo trimestre del 2016 l’export collegato al “business food” è cresciuto del +2,5%), mentre sul mercato interno, per la prima volta dopo molto tempo, si è assistito a un fenomeno virtuoso in quanto all’aumento della domanda ( +1% dei consumi) si è accostata una fase di investimenti che da sola ha realizzato un +2,3%, periodo su periodo.
A trainare la crescita dell’agroalimentare non vi è la produzione massiva, ma quella di qualità e certificata. In Italia si sta innovando molto, soprattutto perché il tessuto imprenditoriale nazionale costituito di piccole imprese, non potendo competere sul prezzo lo fa sulla qualità. Il ritorno alla terra di giovani generazioni, non solo produce nuovo impiego, ma riversa nel settore agricolo competenze e conoscenze tecnologiche importanti. A questo si aggiunge l’impegno delle imprese esistenti nell’innovare, anche se con una mappatura a macchia di leopardo.
La somma è un incremento dei prodotti alimentari certificati DOP IGP: secondo il XIV Rapporto Ismea-Qualivita, nel 2015 l’export di Food e Wine certificato vale 7,8 miliardi di euro, per un incremento del +9,6% su base annua. DOP e IGP valgono il 10% del fatturato dell’industria agroalimentare, un valore non maggioritario ma che ha una ricaduta sull’occupazione e sul presidio territoriale più importante di quanto il mero valore percentuale indichi: il 54% della superficie agricola italiana è dedicata alla produzione certificata. Se poi si osserva qual è l’incidenza dei DOP e IGP sull’export si scopre che vale il doppio in percentuale rispetto alla produzione: 21%.
Fonte: Mark Up