Frenano l’export italiano e i consumi domestici: l’agroalimentare italiano ha subito un ridimensionamento, solo in parte atteso per il venir meno dell’effetto dollaro e per il rallentamento del commercio mondiale. Poi si è aggiunto Brexit con un punto di domanda sulla sostenibilità dell’export tricolore (circa 3,6 miliardi tra alimentare e macchine per il food nel Regno Unito). Tutti questi elementi fanno dubitare che la boa dei 5o miliardi di export possa essere doppiata entro il 2020. Questi sono alcuni dei dati fotografati da Agrifood Monitor, la piattaforma informativa realizzata in partnership da Nomisma e Crif presentata ieri a Bologna con l’obiettivo di offrire alle imprese italiane del settore agroalimentare una bussola per le strategie di internazionalizzazione e di marketing.
Dopo il recupero dei consumi alimentari nel 2015 (per fattori climatici e per Expo) sul mercato interno ( 2,8% a valore e 2,1% a volume secondo Iri), i primi 5 mesi del 2016 evidenziano una frenata 0,5% a valore e 0,4% a volume. E anche sul mercato internazionale il primo trimestre mostra una crescita dell’export agroalimentare di appena l’1,7% (però dopo il 7,4% dell’intero 2015), con l’imprevisto cedimento di uno dei simboli del made in Italy, la pasta -5,6%. Dall’altro lato però la nostra bilancia commerciale si avvia al dato storico del pareggio del lattiero caseario, con un import in picchiata e un export vitale.
«Dopo il boom del 2015 – osserva Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – il rallentamento è naturale: comunque cresciamo. Tuttavia per il secondo semestre il l’export riprenderà vigore malgrado il rallentamento del commercio mondiale, Brexit e l’opzione del TTIP congelata fino alle prossime elezioni presidenziali americane». Certo l’export italiano è troppo eurocentrico: l’Europa pesa per il 63% nell’alimentare, per il 57% nelle macchine agricole e per il 35% nei macchinari per il food e beverage. Secondo Andrea Goldstein, managing director di Nomisma,«dobbiamo aumentare le esportazioni nei mercati extraeuropei, dove pesiamo per meno della metà di quello francese o addirittura di un ottavo di quello statunitense».
Fonte: Il Sole 24 Ore