Il vigneto della Cascina Clarabella lo riconosci subito, perché ha i pali dipinti di blu: blu come il cavallo simbolo della chiusura dei manicomi, che fu realizzato dai pazienti di Trieste per celebrare il galoppo verso la libertà ritrovata
Anche il ristorante porta un nome evocativo, “Centottanta“, il numero della legge Basaglia, che rivoluzionò l’approccio alla malattia psichiatrica nel nostro Paese. Ma sono gli unici, discreti segni che rimandano all’impronta sociale dell’azienda agricola e vinicola di Corte Franca, nata nel 2002 e tra le prime a produrre bottiglie biologiche in terra di Franciacorta.
“La nostra cooperativa si distingue per la qualità dei prodotti – sottolinea il presidente Andrea Rossi – I clienti comprano il nostro vino e il nostro olio perché sono buoni, non per fare della carità. Una logica di mercato, non certo assistenziale. E questo è un grande stimolo anche per i ragazzi fragili che impieghiamo in cantina e nei nostri servizi ricettivi”.
Sono quindici in tutto su trenta dipendenti. Uomini e donne che, muovendo cauti passi nel mondo del lavoro, tentano di staccarsi da un passato tormentato per avviarsi verso un futuro sereno e indipendente. Persone come Marina, che lavora l’impasto in cucina e regala timidi sorrisi: “Qui ho trovato il mio equilibrio. Mi piace preparare qualcosa che gli altri apprezzano. La mia specialità? I grissini”.
Piccoli, enormi passi avanti. Lungo una strada partita quasi dal nulla. Seduto al tavolo della suggestiva barricaia, Rossi ricorda con orgoglio le origini, quando “qui c’erano solo un vecchio rudere e tanti cespugli di rovi. Sembrava un progetto da visionari ma noi ci abbiamo creduto, decidendo di puntare sulla valorizzazione del territorio e delle sue risorse. Così, con il supporto e la collaborazione del Dipartimento di salute mentale dell’Asst Franciacorta, abbiamo messo in piedi quello che oggi è un piccolo borgo dove si incrociano storie di vita e diverse professionalità. Dove ognuno dà il suo contributo, con la soddisfazione di portare avanti un`attività economica che serve anche a fare del bene”. Ma il riflesso etico non è mai esibito, anzi. «Non lo stampiamo sull’etichetta. Quando scoprono la nostra storia, i clienti chiedono meravigliati: perché non me l’hai detto subito? – racconta Alessandro Mogavero, responsabile commerciale – E io rispondo: perché prima devi scoprire la qualità del nostro vino, e poi se vuoi ti racconto tutto quello che facciamo. Non vogliamo essere compatiti, ma apprezzati”.
Una filosofia che ha pagato. Sabato 6 novembre Cascina Clarabella è stata premiata alla fiera Golosaria come una delle “10 migliori realtà sociali”.
“E pensare che quando sono arrivato, qui c’erano solo i conigli – sottolinea Aldo Papetti, uno dei soci storici nonché anima della cantina – Al primo Vinitaly, nel 2009, ci presentammo con una produzione di appena 4800 bottiglie l’anno. Ora coltiviamo 13 ettari e produciamo 80 mila bottiglie”. E visto che il modello funziona, la cooperativa Clarabella ha allargato le attività. Due anni fa è partita agroittica: il pesce del vicino lago d’Iseo viene essicato o messo sott’olio. Un’idea che ha dato un nuovo scopo alle fatiche dei pochi pescatori rimasti, innescando un ciclo virtuoso per la microeconomia locale. In questo solco si inserisce anche la gestione del frantoio di Montisola, suggestivo lembo di terra in mezzo al lago, reso famoso nel 2016 dalla colorata passerella gettata sulle acque da Christo, guru della land art.
L’impianto, vitale per i produttori locali, rischiava la chiusura. La cooperativa ha presentato l’unica offerta al bando del Comune, garantendo così la continuità della filiera. Ma se le cose funzionano è anche merito del lavoro di squadra di un territorio dove “sinergia” non è solo un abusato slogan. Gli enti locali intercettano i fondi pubblici e il Consorzio Clarabella, di cui l’omonima cooperativa è solo un segmento, ci mette del suo per investirli al meglio in occasioni di inserimento lavorativo, con ricadute positive sull’intera comunità. Che capisce e apprezza.
“Certo, qualche diffidenza rimane – spiega il presidente del Consorzio, Carlo Fenaroli – ma noi le superiamo lavorando bene. In agricoltura come nel laboratorio di assemblaggio e nei servizi di manutenzione del verde e di pulizia, gli altri settori che ci vedono impegnati. In tutto impieghiamo 380 persone, di cui 130 in inserimento lavorativo. Di questi, circa 80 con disagio psichico. L’esperienza del Consorzio ha ispirato progetti per la cura e l`inserimento di persone fragili a Mosca, Lisbona, San Pietroburgo, in Svizzera e Finlandia”.
Un’operosità molto “bresciana” che si respira in ogni angolo della cascina. Sono tante le panchine sparpagliate sul prato e attorno al laghetto, ma è difficile vederci qualcuno seduto sopra. Anche gli ospiti della comunità terapeutica, quando possono, danno una mano svolgendo piccole mansioni. E i frequentatori del centro diurno partecipano ai laboratori di cucina.
“Quando un paziente arriva gli si lascia tutto il tempo per esprimere qualità, bisogni e aspirazioni – dice Elvira Pievani, responsabile dei laboratori – mettendo in conto progressi ma anche difficoltà. È comunque un processo evolutivo, favorito dal fatto che nello stesso luogo si incrociano i percorsi di reinserimento e di cura. Non ci sono barriere, la contaminazione è feconda e aiuta a recuperare le doti smarrite in una vita precedente”.
Fonte: Avvenire