Il Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP commenta la notizia sul nuovo sponsor di AC Milan un produttore di Zafferano con bulbi coltivati in Italia e poi lavorati in Uzbekistan e definiti agroalimentare made in Italy
AC Milan ha annunciato nei giorni scorsi una nuova partnership con Oro Rosso Milano, nuovo marchio italiano produttore di zafferano pronto a lanciare il proprio brand nel mercato nazionale e internazionale. Si tratta di bulbi di zafferano coltivati in Italia e poi lavorati in Uzbekistan (leggi la notizia).
Un processo, associato in ottica di marketing al brand made in Italy, che ha generato la reazione dei produttori del Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP che hanno risposto nel merito delle affermazioni.
“La notizia ci ha lasciati un po’ interdetti” – ha dichiarato Massimiliano D’Innocenzo, Presidente del Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP. “In generale, non fa bene a nessuno utilizzare il “made in Italy” come slogan, se poi ci si vanta di far lavorare il prodotto in un altro Paese, qualunque esso sia. Nel caso dello zafferano, non riusciamo a capire neanche bene il significato di quanto riportato “nasce da bulbi coltivati in Italia e poi lavorati in Uzbekistan”: per sua natura, lo zafferano va raccolto e lavorato in giornata, per cui l’unica interpretazione plausibile è che i bulbi italiani verranno coltivati nel paese asiatico e lì i fiori saranno raccolti e lavorati”.
“Questo va contro ogni logica” – continua il Presidente Massimiliano D’Innocenzo – “e proprio noi a L’Aquila e nel nostro territorio della DOP ci vantiamo esattamente del contrario, ovvero di coltivare solo in determinate aree (i 13 Comuni dell’Aquilano, per il loro clima e tipo di terreno) e di lavorare con una cura e attenzione acquisita nei secoli e controllata e certificata dal marchio DOP la preziosa spezia, con l’intento ultimo di garantire un livello di qualità eccelso per il consumatore, cosa che non ci sentiamo assolutamente di accostare a quanto possa avvenire in altre parti del mondo. Ovviamente è tutto lecito, ma accostare questa operazione al “made in Italy” ci sembra davvero assurdo”.
Fonte: Fondazione Qualivita