I cambiamenti climatici e la convivenza con le produzioni agricole
L’agricoltura è fortemente esposta all’impatto dell’aumento delle temperature globali: le crescenti fluttuazioni della stagionalità perturbano i cicli agricoli, i cambiamenti delle precipitazioni e gli eventi meteorologici estremi pongono sfide considerevoli. Anche la nuova Politica Agricola Comune mira a garantire che gli agricoltori possano adattarsi all’incertezza climatica, ridurre le emissioni e mitigare i cambiamenti climatici. Gli effetti si riscontrano ancor più sulle produzioni legate al territorio e a tempi imposti dai disciplinari di produzione. Intervista a Luca Mercalli, meteorologo, climatologo, docente e saggista, presidente della Società Meteorologica Italiana, fondatore e direttore della rivista Nimbus e collaboratore di molte testate.
Prof. Mercalli, in Italia come è sentito il tema del cambiamento climatico?
L’Italia è definita ormai un hot spot, ovvero uno di quei Paesi in cui il cambiamento climatico si sta facendo sentire in maniera più determinante rispetto ad altre aree geografiche. Consideriamo gli aumenti di temperature con medie di circa due gradi in più rispetto al passato, da Sud a Nord, ma soprattutto fenomeni atmosferici di proporzioni ingovernabili, imprevedibili e raramente visti prima di oggi. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite entro la fine del secolo l’aumento potrebbe superare i cinque gradi di media. Questo è il quadro a cui ci dobbiamo abituare e andrà peggiorando nei prossimi anni.
Da cosa dipende quanto sta succedendo al clima?
Il motivo dei cambiamenti climatici è principalmente l’uomo, con le emissioni di gas a effetto serra che da oltre duecento anni sono aumentate e che non vengono ridotte, nonostante le raccomandazioni degli Accordi di Parigi. Il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha definito questo uno “scenario catastrofico”. Sicuramente si potrebbe ancora far qualcosa per fermare, non certo tornare più di tanto indietro, questo fenomeno considerando che l’anidride carbonica resta nell’atmosfera per secoli. Per il momento mi pare che stiamo assistendo a molte chiacchiere e pochi fatti a livello internazionale.
Una visione preoccupante per un Paese in cui l’agricoltura rappresenta una voce importante dell’economia.
Certo. In maniera particolare considerando che gran parte dell’agricoltura italiana è legata al territorio d’origine. I disciplinari che determinano il luogo e i tempi di produzione rappresentano già oggi un limite rispetto al cambiamento climatico e non è un caso assistere a richieste di proroghe sui tempi o sui modi di produzione da parte dei Consorzi di tutela. Se fino a oggi le filiere delle Indicazioni Geografiche hanno giovato del clima di determinate zone, oggi purtroppo il ragionamento da fare è quasi all’opposto: dobbiamo immaginare dove produrre determinati ortaggi, frutti o allevare razze possa essere di giovamento a quel prodotto stesso.
Uno dei principali problemi è il fattore acqua: si passa da estrema siccità a estrema abbondanza.
Gli eventi atmosferici non sono più di tanto controllabili, però fenomeni come quello accaduto di recente in Emilia-Romagna, dove dal problema siccità si è passati a quello alluvionale, saranno sempre più frequenti. Dobbiamo cominciare a pensare da un lato a come limitare il danno, dall’altro a come ottimizzare le precipitazioni, oggi inferiori in continuità, ma determinanti in quantità. In Italia perdiamo metà della risorsa idrica a causa di un sistema di rete obsoleto, oltre a politiche di accumulo che stanno iniziando ad arrivare ora, quando siamo già dentro al problema. Finché il cambiamento climatico resterà un discorso tra tecnici la politica difficilmente ne prenderà atto e quindi misure. Ci stiamo arrivando, ma con ritardo.
Tornando all’agricoltura, cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi anni?
Lo dico da anni: dobbiamo cominciare a pensare nell’ottica dell’adattamento. Sembra paradossale, purtroppo non lo è più. Pensiamo al Sud Italia dove anche produzioni tradizionali come il pomodoro rischiano oggi di essere bruciate da un clima che è sempre più simile a quello del Nord Africa. La viticoltura, che forse è uno dei settori agricoli più conosciuti in Italia, ha cominciato a spostarsi in quota per compensare l’aumento eccessivo delle temperature. È inevitabile che questo avvenga anche per altre produzioni legate per disciplinare a determinati territori e determinate pratiche. Gli stessi disciplinari, dunque, dovranno essere più facilmente adattabili e flessibili al cambiamento climatico.
Da poco l’UE a ha aperto allo studio delle pratiche genetiche in agricoltura. Cosa ne pensa?
La scienza ci aiuta a capire se ci potranno essere soluzioni di adattamento al nuovo clima per le colture, ma è chiaro che per certi aspetti, culturali soprattutto, l’arrivo di nuove cultivar potrà non essere compatibile con alcune produzioni storiche. Insieme all’approccio sull’agricoltura è importante rendere più flessibile anche la nostra mentalità, oggi basata sul marketing territoriale, pensando più in generale a produzioni italiane di qualità e non necessariamente a tradizioni alimentari troppo rigide che potrebbero essere spazzate via.
A cura della redazione
Fonte: Consortium 2023_03