«… NE HA ROVINATI più lui che il petrolio». Questa frase di una vecchia canzone di Vasco Rossi potrebbe essere il giusto spunto per riflettere sui fenomeni di nutrizionismo, nutriceutica e delle pubblicita’ che mirano a vantare le proprieta’ salutari di alcuni prodotti.
Se facciamo un’analisi dei criteri con cui la gente va a fare la spesa, pare si possa veramente pensare che una delle cause dell’attuale “disastro alimentare” americano derivi dall’aver seguito, negli ultimi cinquanta anni, la dieta del nutrizionismo prima e della nutriceutica poi. ANCHE IN EUROPA ormai è sempre più diffusa infatti la pratica di pubblicizzare prodotti alimentari per le loro proprietà salutari: prevenire e curare colesterolo, problemi intestinali, cardiaci, di soprappeso, come se il cibo fosse una medicina. Tale è stato l’abuso, tanto che l’Unione Europea è già corsa ai ripari con una serie di interventi normativi mirati a limitare il ricorso ad etichettature mendaci che traggono in inganno i consumatori, portati a scegliere i prodotti spesso sulla sola considerazione di cosa promettono per tutelare la salute. Attualmente, circa l’80 per cento dei prodotti che sono stati sottoposti a verifiche dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) riguardo alla congruenza tra le dichiarazioni in etichetta e le reali qualità possedute non ha passato l’esame. SE GUARDIAMO il problema anche attraverso l’occhio delle piccole imprese agroalimentari italiane che hanno una difficoltà oggettiva nel sostenere ricerche così costose per dimostrare i reali aspetti salutari dei loro prodotti, ci accorgeremo che tale sistema inserisce anche un livello di concorrenza sleale che penalizza soprattutto i prodotti di qualità del territorio. Paradossalmente ad oggi le produzioni certificati del nostro paese sono le uniche per cui le dichiarazioni in etichetta hanno riscontro in verità oggettive, testimoniate innanzitutto dalla tracciabilità e trasparenza del metodo di produzione.