la Repubblica
Il Paese centrafricano era il primo produttore mondiale della sostanza insostituibile per la produzione di bibite. Carestie, conflitti e sanzioni internazionali hanno fatto crollare le esportazioni: impoverendo un’economia già allo stremo. Una pericolosa minaccia alla sopravvivenza del mondo occidentale cova a sud del Sahara. Immaginiamo che la Coca-Cola perda la sua tinta bruna e diventi un liquido trasparente come tanti altri; che il gusto amarognolo non venga più temperato dallo zucchero se non dopo averla energicamente mescolata, perché tutto il dolce è andato a depositarsi sulfondo della bottiglietta o della lattina.
Tale sarebbe la catastrofe
in agguato dovesse rarefarsi l’approvvigionamento di gomma arabica, benedetta sostanza naturale la quale ha, tra molte altre, la qualità di tenere in sospensione coloranti e dolcificanti nei liquid per uso alimentare. E di cui la Coca-Cola, la Pepsi e tantissime altre bibite fanno insostituibile uso. La domanda globale di gomma arabica non fa che aumentare. È cresciuta di circa il 40 per cento nell’ultimo decennio del secolo scorso e più o meno altrettanto nel secolo attuale. Ma il suo primo produttore mondiale, il Sudan, è da tempo in difficoltà. Due successive invasioni di cavallette, all’inizio degli anni Duemila, causarono la perdita di migliaia di esemplari di Acacia senegal, l’albero dacui si estrae la gomma arabica; il deterioramento ambientale dovuto al cambiamento climatico mina ulteriormente la sopravvivenza della preziosissima pianta; il conflitto del Darfur ha destabilizzato quasi l’intera regione produttrice. Risultato: la quota sudanese delmercato mondiale è scesa dall’80 per cento della seconda metà del Novecento all’attuale 50. Si aggiunga il fatto che il governo del Sudan gode di fama disastrosa fuori dai confini. Il suo presidente, Omar al Bashir, è formalmente un ricercato del Tribunale penale internazionale, che lo accusa di genocidio e altri crimini contro l’umanità commessi in Darfur e ne chiede da tempo l’arresto. È minacciato di nuove sanzioni per la feroce aggressione contro i Nuba del Sud Kordofan e le popolazioni del Blue Nile; è in uno stato di guerra intermittente con il Sud Sudan, resosi indipendente un anno fa. Tutto questo ne fa un paria della comunità internazionale e chi è in affari con imprese sudanesi spesso e volentieri fa di tutto perché non si sappia. Per questo nel maggio del 2007 l’ambasciatore sudanese a Washington, John Ukec Lueth Ukec, tenne una memorabile conferenza stampa circondato da bottigliette di CocaCola, minacciando il blocco delle esportazioni di gomma arabica. Da allora le cose non sono certo migliorate per il Sudan. Altro che «dono di Dio», come l’ad della Gum Arabic Company, monopolista dell’export sudanese, definì la sua merce in un’intervista alla National Public Radio americana. Designata nell’industria alimentare con la sigla E414, la gomma arabica, i cui molteplici benefici sono noti sin dai tempi dei faraoni, viene usata in un’infinita varietà di modi. L’impiego più universalmente diffuso è senz’altro come emulsionante e stabilizzante nelle bibite gassate. Ma la si ritrova anche nel vino, nelle caramelle, nei confetti, negli americanissimi marshmallows e, fuori dai supermercati, in colori e vernici, in svariati prodotti estetici e farmaceutici come creme e pomate, nelle cartine per sigarette o sul retro di etichette e buste come collante. Gli antichi Egizi ci bagnavano le bende con le quali fasciavano le mummie. Gli africani di oggi la usano in medicina, nell’edilizia, per tingere le stoffe. La produzione totale è di circa 60mila tonnellate all’anno. Di queste grosso modo la metà vengono dal Sudan e un altro terzo dal Ciad. La gomma arabica si ricava da un’unica pianta, l’Acacia Senegal, come la chiamò il suo primo classificatore, anche se oggi cresce piuttosto nell’interno del continente, nella fascia semiarida subito a sud dello sconfinato deserto settentrionale. Nell’arco di circa cinque mesi, tra fine dicembre e inizio giugno, i raccoglitori ne incidono la corteccia per fare fuoriuscire la linfa che, seccando, assume una forma a grani: quella è la gomma arabica. È una tecnica in apparenza semplice, ma che richiede abilità, cautela e conoscenza, oltreché fatica. La cattiva fama internazionale del governo sudanese precede di molti anni il conflitto del Darfur. All’epoca dell’attentato alle Torri Gemelle, nel 2001, si diffuse negli Stati Uniti una leggenda metropolitana che attribuiva a Osama Bin Laden una partecipazione diretta nella produzione della gomma arabica. La falsa notizia dette vita, ancorché brevemente, a un movimento che chiedeva il boicottaggio dei prodotti contenenti l’E414. Alla fine dovette intervenire addirittura il dipartimento di Stato. È vero, precisò, Osama Bin Laden ha risieduto a lungo in Sudan e investito notevoli capitali nell’agricoltura locale: ma nel 1996 è stato cacciato dal Paese e ha liquidato tutti i suoi possedimenti (con perdite colossali). Il chiarimento non impedì che la Coca-Cola continuasse ad essere assediata da proteste e interrogazioni tanto da ritenere necessaria un’ipocrita smentita: non importiamo nulla direttamente dal Sudan, dichiararono i suoi dirigenti. Basta scorrere Wikipedia, tuttavia, per capire che non c’è alcun bisogno di entrare in rapporti diretti con un esportatore sudanese. La Francia è pressoché monopolista dell’import-export mondiale della gomma arabica; anzi la sua quota globale si è accresciuta nel XXI secolo raggiungendo iil 90 per cento del mercato. La Gran Bretagna è ferma al 10. Questo monopolio fu raggiunto dapprima nel XVIII secolo, con un conflitto feroce e prolungato ricordato nei libri come la «Guerra della gomma». La vita complicata dell’ottima gomma arabica è dunque una vecchia storia.