L’Espresso
Nei ristoranti di San Paolo e Rio de Janeiro spopola il “parmesao”, abborracciata donazione del parmigiano-reggiano. A Buenos Aires il processo di contraffazione dei prodotti alimentari italiani sforna il “regianito”. Negli Stati Uniti imperversano il Parma Ham, l’Asiago del Wisconsin e la mozzarella di Dallas. Fra i formaggi, grande diffusione ha in Australia il “Tinboonzola” (gorgonzola interpretato) e in Germania e Belgio il “Cambozola” (variante sul tema). In Inghilterra sale l’indice di gradimento delle “penne Napolita”, in Austria hanno facile smercio i “fusilli di Peppino”. Etichette di modesta qualità e di prezzo contenuto, che si riversano anche sui mercati con scarsa tracciabilità dei Paesi emergenti. Uno scippo di identità, denominato “Italian Sounding”, che fa il verso alle specialità della nostra gastronomia, storpiandone il nome e sfruttandone con bassi investimenti la fama. Fenomeno che nella graduatoria mondiale della distribuzione di food and beverage relega l’Italia nelle retrovie.