Il Sole 24 Ore
L’Italia è spesso sfacciata e sempre uguale a se stessa, ma è anche una terra silenziosa e piena di misteri. In questa storia ci sono gli uomini dignitosi e duri della Sardegna interna e l’odore forte dei loro formaggi, la suggestione muta e arcaica dei nuraghi e la meccanica poco celeste dei mercati globali, soprattutto quando alterati nella loro fisiologia dal protezionismo. A Thiesi, nella parte del Sassarese chiamata Meìlogu (il luogo di mezzo)’, si trova l’epicentro di un sistema produttivo locale agroindustriale fondato sul Pecorino Romano DOP, il formaggio che gli imprenditori laziali insegnarono a fare ai pastori sardi a inizio Novecento, quando l’agro pontino non dava abbastanza erba per saziare la fame delle centinaia di migliaia di pecore che cingevano d’assedio Roma. Tutto intorno si estende la valle dei trenta nuraghi e delle dieci tombe dei giganti che, dall’età del bronzo e del ferro, guardano l’affannarsi degli uomini e lo scorrere delle cose. E, qui, almeno negli ultimi vent’anni, di affannarsi ce n’è stato parecchio. Nel 1992 prosperavano sei imprese: i Fratelli Pinna, la Mannoni Casearia, la Gam Formaggi della famiglia Manca, la Cossu, la FaddaManca e la cooperativa Melogo. In tutto, davano lavoro a 350 addetti diretti, a cui si aggiungevano una ottantina di padronicini che con camion e cisterne garantivano la logistica e i trasporti di un polo del formaggio che poteva contare, in tutta la Sardegna, su 2mila fornitori di latte di pecora.