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L’Italia è terza nell’Unione europea per consumo di merci taroccate. Da tempo l’imprenditoria criminale punta anche sulla qualità. Capi fasulli sono stati sequestrati persino dai rivenditori ufficiali.
Una catastrofe per l’erario che alimenta criminalità e sfruttamento.
“Dottò, almeno riconosca che è fatta bene”.
Tanto è fatta bene, la borsa Louis Vuitton, che persino il perito consultato dai finanzieri ammette di trovarsi in difficoltà. Se quella borsa fosse in vendita in un negozio “vero” ci cascheremmo tutti quanti, perito compreso. Con grande soddisfazione del titolare della mini-impresa del rione Sanità di Napoli, sei operai tutti al nero e produzione interamente confiscata. Non cambia la musica di fronte all’Adidas trainer, tormento per ogni genitore di teenager: identica all’originale, di ottima fattura, precisa nei particolari. Praticamente clonata. E dopo averne comprate almeno cinque paia di diversi colori, sì che siamo in grado di riconoscerle.
Siamo letteralmente circondati da prodotti falsi: borse, scarpe, abiti, giocattoli, alimenti, gioielli, cosmetici e farmaci. Si compra la falsa borsa Vuitton o il Rolex tarocco perché non si è in grado di acquistare il prodotto autentico ma si vuole apparire lo stesso. E questo vale ancora di più se il prodotto contraffatto è di grande qualità e difficilmente distinguibile da quello vero. Ma non solo: chi acquista prodotti contraffatti ritiene la cosa un peccato veniale, quasi un divertissement, persino una giusta punizione per l’ingordigia delle griffe.
I prodotti contraffatti, però, indeboliscono l’economia, sottraendo posti di lavoro legali, alimentano lo sfruttamento e la criminalità organizzata e hanno un effetto immediato anche sulla salute: coloranti scadenti e spesso tossici su tessuti e giocattoli, tomaie rigide per le scarpe, troppo nickel nelle parti metalliche di gioielli e orologi, componenti scadenti nei cosmetici e nei prodotti di uso più comune, come dentifrici, saponi e shampoo. Non è un caso che stiano aumentando in modo esponenziale anche le allergie, da contatto e non. Con i farmaci falsi, inoltre, si rischia anche la vita.
Uno studio del Censis pubblicato ad ottobre scorso (su dati 2010) chiarisce bene i termini della questione: il mercato del falso fattura sei miliardi e 900 milioni di euro, i settori più colpiti sono abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro), cd, dvd e software (più di 1,8 miliardi di euro) e prodotti alimentari (1,1 miliardi di euro).
Sempre secondo il Censis, se gli stessi prodotti fossero stati venduti sul mercato legale avremmo avuto una produzione aggiuntiva di 13,7 miliardi di euro, con un acquisto dall’estero di materie prime e semilavorati per 4,2 miliardi di euro. Per non parlare delle 110.000 unità di lavoro a tempo pieno che avrebbe assorbito tutto il mercato legale. Il secondo elemento, che gioca probabilmente un ruolo di rilievo, riguarda la qualità della contraffazione. Alle importazioni orientali – di livello scadente – si affiancano ormai le produzioni italiane di falsi, che hanno una qualità maggiore non solo del prodotto, ma di tutti i particolari e i dettagli, dall’etichetta alla confezione e persino il codice numerico (vedi il video della Guardia di finanza). Quasi una clonazione, che rende il prodotto indistinguibile da quello di marca. Tanto che alcuni prodotti praticamente perfetti ma falsi – dei giubbotti Moncler – sono stati trovati dai finanzieri anche in alcuni negozi depositari del marchio autentico: una truffa nella truffa. Con un guadagno enorme da parte del venditore.
Come ci si può difendere? “È prioritario creare maggiore consapevolezza nel consumatore – premette Daniela Mainini, presidente del Consiglio nazionale anticontraffazione, organismo interministeriale che punta a migliorare l’azione di contrasto – perché spesso chi acquista un prodotto contraffatto non sa di alimentare una catena criminale che viola le norme del lavoro e usa lavoro minorile. Di più, il consumatore ritiene di non far nulla di male e difende questo tipo di reato, e anche il venditore. È una battaglia per la legalità, non dimentichiamo che l’Italia è terza nell’Unione europea per consumo di merci contraffatte, e l’informazione è fondamentale. Inasprire le pene non serve, abbiamo già norme adeguate ma è l’applicazione che lascia un po’ a desiderare. La contraffazione è un’emergenza e disponiamo di molte eccellenze investigative e operative, ma non coordinate nel modo migliore”.
In campo alimentare, alla contraffazione di marchio vero e propria si aggiunge anche il cosiddetto “italian sounding”, prodotti, cioè, che utilizzano nomi italiani per ingannare il consumatore sulla provenienza e la qualità stessa di un alimento. “La contraffazione di nome è limitata, rispetto all’italian sounding, e ha comunque tutela giuridica – racconta Mauro Rosati, direttore generale di Qualivita, fondazione per la protezione e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità – ma c’è tutto un terreno di mezzo di prodotti similari che crea equivoci. Per esempio, è ovvio che un Grana Piemonte cerca di evocare il Grana padano, il consumatore legge Grana e non fa a caso al bollino Dop né se fa parte del consorzio. Del resto il fenomeno dell’imitazione è figlio del successo straordinario del made in Italy alimentare nel mondo”.
Sulla diffusione di una coscienza, soprattutto tra i giovani, sta lavorando da tempo l’Agenzia delle dogane, impegnata con il progetto Falstaff per i giovani, che allerta i ragazzi sul rischio legato all’acquisto di prodotti contraffatti, soprattutto sul web. “Un progetto importante – precisa Teresa Alvaro, direttore della sezione Tecnologie per l’innovazione dell’Agenzia delle dogane – con il quale vogliamo arrivare ai giovani e alle scuole per dissuaderli da acquisti incauti e rischiosi”.
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