La Repubblica
Iperinflazione, svalutazione, disoccupazione e sanzioni dell’Occidente che bloccano il mercato del petrolio. L’Iran rischia la bancarotta e il regime degli ayatollah, a poco più di due mesi dalle elezioni, non si può permettere di perdere l’ultima battaglia: quella del pistacchio. È il frutto più amato del Paese che ne è anche il primo produttore mondiale. Gli iraniani ne vanno pazzi, ma negli ultimi mesi i prezzi sono saliti alle stelle e a Teheran il malumore è sfociato in una vera e propria protesta contro i rivenditori, accusati di nascondere quelle preziose piccole gemme per rivenderle all’estero e incassare valuta pregiata. Un boicottaggio, cominciato alla vigilia delle festività del capodanno iraniano a marzo. Una rivolta e una vera e propria grana per il governo, che ha deciso di intervenire. Prima bloccando i prezzi, poi con un bando per l’export. E ora assecondando il boicottaggio. La guerra del pistacchio ha radicilontane. Come quelle del calendario persiano che fissa il Capodanno il 21 marzo. È la più grande festa del Paese e si celebra con montagne di frutta secca, pistacchi in particolare, da sgranocchiare. Ma quest’anno non è stato così facile. I prezzi so no più triplicati rispetto a un anno fa. Allora per comprare 500 grammi di pistacchio all’ingrosso bastavano 3,18 dollari. A gennaio ne servivano già più di dieci. Senza considerare che con la monetalocale che va a picco, per i produttori è decisamente più conveniente vendere all’estero.