La Repubblica
Il naso non tradisce. Un fremito speziato annuncia la vicinanza. È come se odori geograficamente lontani eppure riconoscibili si mescolassero in una scia che i nostri recettori traducono in una sensazione di calore appetitoso, ammiccante, diverso. Il fascino dello spiedo rotante sul quale una quantità maestosa di fettine pazientemente impilate trova la sua cottura croccante e profumata è un mistero svelato dall’arrivo delle cucine del mondo. Turchi e afgani, egiziani e bosniaci, greci e indiani hanno portato con sé la cultura delle carne marinata e arrostita in piedi nelle ondate migratorie fin dalla primissima generazione. L’aggettivo döner – rotante, appunto-si è radicato così fortemente nella quotidianità alimentare europea, che in Germania (terra madre dell’immigrazione turca) il nome dell’utensile battezza la preparazione, tanto originale da non richiedere altre specifiche. In realtà, la modalità verticale è solo una delle tappe evolutive del kabad, parola araba dall’etimo lontanissimo nel tempo, e dalla cui radice kbb (ardere, bruciare) è nato il termine kawkab, stella. Secondo la tradizione araba, dopo la marinatura con spezie, yogurt, salse, i tocchetti di montone – carne altrimenti piuttosto difficile da domare a causa della consistenzatenace erefrattariaalle preparazione rapide-venivano infilzati su uno spiedo (shis) e arrostiti sulla brace, eredità diretta della cottura sulla spada praticata dai cavalieri.