L’Unità
Il fatto è ormai pacifico, il bilancio del settore agroalimentare italiano deve molto alla tenuta esportazioni. Secondo i dati di Federalimentare il 2013 si è chiuso con un aumento dei volumi esportati del 7% per un fatturato di oltre 26 miliardi di euro. Questo trend positivo rappresenta un incredibile salvagente poiché dovrebbe ulteriormente aumentare consentendo di contrastare la prolungata stagnazione del mercato interno e garantendo gli attuali livelli occupazionali.
Ma l’internazionalizzazione dei nostri prodotti ha davanti a sé problemi altrettanto noti e molto complessi. Uno dei maggiori riguarda gli strumenti di difesa commerciale che l’UE ha a disposizione per tutelare le produzioni agroalimentari di qualità. Fino a l’altro ieri, nonostante l’impegno dei nostri europarlamentari, i risultati su questo piano erano stati sempre negativi. I grandi importatori dell’europa del nord sono sempre riusciti a imporre i propri interessi a discapito di quelli, contrastanti, dei produttori.
Il simbolo di questo tipo di posizione rimane la mancata introduzione dell’obbligo di indicazione del paese d’origine dei prodotti industriali di provenienza extra Ue destinati al consumatore finale, votata nel 2012. Un mancato provvedidimento costato molto caro, in termini di contraffazione, al “made in Italy”. Le vicende riguardanti l’esportazioni dell’Olio italiano rappresentano un esempio chiaro di quanto sia fallimentare questa strategia. Mercoledì, però, a Strasburgo, si è intravista la possibilità di un parziale cambio di marcia. Infatti, l’Europarlamento, con una buona maggioranza, ha votato per riformare gli strumenti di tutela del “made In”. Tra i provvedimenti più significativi ci sono, senza dubbio, l’aumento delle tariffe antidumping contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi terzi e l’impegno a sostenere le PMI nell’usufruire di questi strumenti di difesa, spesso ad appannaggio, per complessità e costi, delle grandi aziende.
Adesso il confronto si sposta in Consiglio dove, da sempre, i grandi paesi importatori impongono la linea sulla tutela commerciale. Come ha commentato il presidente della Commissione Agricoltura Paolo De Castro è “un primo passo per difenderci dalle importazioni di paesi che fanno dumping, ma anche una prima risposta per le importazioni di prodotti alimentari che non rispettano le regole e gli standard europei. Con il Parlamento Europeo abbiamo un’arma potente. Bisogna saperla usare con più lavoro di squadra e meno provincialismo”.
Quella reciprocità che dovrebbere fungere da ago nella bilancia nei grandi negoziati bilaterali che l’Italia ha intavolato ormai da mesi con Stati uniti e Canada e che rappresentano una grande oppurtunità per le nostre eccellenze agroalimentari. Questi accordi infatti, una volta conclusi positivamente, garantirebbero, specialmente alle IG europee, un meccanismo di tutela più efficace e nuovi grandi mercati. Primo tra tutti quello con gli Stati Uniti, che segnerebbe una svolta epocale.
In vista dell’Expo 2015 che porterà in Italia, per parlare di alimentazione, le delegazioni di 142 paesi, il tema degli strumenti di tutela negli relazioni bilaterali è più che fondamentale. Così come sarà fondamentale che il nostro paese si presenti sfruttando al massimo le proprie potenzialità, creando un sistema dell’agricoltura sinergico e cooordinato. In questo senso le misure contenute nel collegato agricolo presentato dal Governo – il progetto normativo connesso alla legge di stabilità – rappresentano un segnale positivo. In primo luogo per una serie di misure che potrebbero realmente favorire le attività agricole, specialmente sull’export.
Come ha dichiarato il sottosegretario Martina: “con il collegato si perfezionano strumenti che aiutano le imprese ad aggregarsi e a costruire relazioni più forti. In questo modo l’Italia risponde al bisogno di migliorare la distribuzione nel mondo”. In secondo luogo, tra le proposte c’è un progetto complesso, ma affascinante: un unico marchio per il “made in Italy” agroalimentare.
Il tema in ballo è sempre lo stesso, la tutela dalla contraffazione. Un unico marchio per tutti i prodotti, promosso dal governo nazionale, potrebbe essere un arma essenziale quantomeno per la riconoscibilità del nostro patrimonio agroalimentare. Riuscire a creare un simbolo comune a tutti gli attori del settore significa fornirsi di una solida base di partenza per i negoziati bilaterali con i grandi mercati. L’augurio è che questi due casi siano punti di partenza per rendere il settore agroalimentare italiano più forte, in grado di guardare alle sfide internazionalicome grandissime opportunità piuttosto che come minacce di fallimento.