Il Sole24ore.
Tutela delle indicazioni geografiche per l’alimentare e abbattimento delle barriere non tariffarie: ma l’intesa è lontana. «Cosa c’è di più americano del parmigiano?». Questo provocatorio titolo comparso sul Wall Street Journal due giorni fa è solo un assaggio della battaglia sulle denominazioni di origine dei prodotti alimentari che è appena iniziata tra Unione europea e Stati Uniti. E’ una delle due partite cruciali per l’Italia nel quadro del negoziato per dar vita all’Accordo di libero scambio tra Usa e Ue. La seconda è quella che si gioca sull’abbattimento delle barriere non tariffarie, cioè quell’insieme di standard, certificazioni e norme fitosanitarie che spesso costano agli esportatori più dei dazi.
Sulle indicazioni geografiche le posizioni sono molto lontane. L’Italia vuole infatti che il Trattato riconosca la normativa europea di tutela dei prodotti tipici locali, come ha fatto recentemente il Canada. Francia, Spagna e Grecia, sono altrettanto determinate e la Commissione ha accolto le loro istanze nel suo mandato negoziale. Il problema è che negli Stati Uniti la questione sta diventando un caso politico. Pochi giorni fa oltre la metà dei membri del Senato ha sottoscritto una lettera in cui chiede al governo americano di respingere il tentativo europeo di inserire le IGP nel Patto transatlantico. «La Ue – denunciano i 55 senatori -utilizzagli accordi di libero scambio per imporre barriere all’export americano con la scusa della protezione delle indicazioni geografiche».