Il Sole 24 Ore
Agrumi, latte, carne fresca, prosciutti, olio extravergine di oliva. L’Italia, si sa, vanta un bendidio, ma la nostra bestia nera sono le infide barriere del market accesi, specie quelle erette da nuovi e promettenti mercati come quello cinese: solo per la carne e gli insaccati la perdita secca sarebbe di 60 milioni di euro ogni anno. «Proprio per le produzioni d’eccellenza l’industria italiana potrebbe avere un ruolo di primo piano in Cina – dice Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria con delega all’Europa e al made in Italy nonché presidente di Assocarni – il mercato cinese è della massima importanza per il nostro export alimentare. I nostri Paesi hanno nell’esportazione una grande forza
e dovrebbero, quindi, dichiarare a gran voce no al protezionismo. Invece, esistono ancora molti ostacoli all’esportazione dei prodotti alimentari in Cina, dalle procedure amministrative onerose e incerte alle certificazioni complesse, dalle restrizioni sanitarie ai divieti assoluti, alle barriere tariffarie e non tariffarie».