Corriere del Veneto
Dalle vallate feltrine a New York e Philadelphia. Dall’intuizione innovativa di una cooperativa per uscire da un’agricoltura da fame alla stessa che, sessant’anni dopo, accetta la sfida «glocal» dei formaggi «griffati» esportati negli Stati Uniti e in Canada. In mezzo c’è una distanza siderale. Ma è la stessa che ha percorso Lattebusche, la società cooperativa della vallata feltrina, nel momento in cui si volta indietro a ripercorrere i propri sessant’anni di vita. Succederà dopodomani, alle 10, al campo sportivo di Cesiomaggiore, vicino a Feltre, in una cerimonia in cui gli ospiti saranno ricevuti dal presidente e dal direttore generale, Giuseppe Guerriero e Antonio Bortoli, e che sarà chiusa dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, che ha accettato l’invito, facendo valere il richiamo alle radici familiari che lo legano a questo territorio. Cerimonie semplici, di chi vive perfino con una certa ritrosia il guardare al valore dei risultati raggiunti. Da quel lontano 1954, in cui una trentina di soci si riunirono decisi a creare, nello scetticismo generale, qualcosa di nuovo per uscire da un’agricoltura di pura sopravvivenza, tra mezzadri e coloni con stalle piccolissime e centinaia di microscopiche latterie nelle valli. «Fu una svolta epocale, l’idea di una cooperativa che pagasse ai soci in denaro il latte conferito e non in prodotto trasformato spiega il direttore, Antonio Bortoli -. Una svolta di dignità per i produttori, a cui si dava stabilità e i fondi per mantenere le famiglie e affrontare gli investimenti in azienda».
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