– Nei negoziati commerciali che sta portando avanti in tutto il mondo, l’UE dà molta importanza al riconoscimento delle DOP e delle IGP, anche dette Indicazioni geografiche (IG). Ci sono sviluppi in altri accordi che potrebbero avere effetti sulla strategia europea?
Negli ultimi 15 anni l’UE è stata molto attiva e, sia attraverso accordi bilaterali di commercio o accordi specifici sulle indicazioni geografiche, ha ottenuto per questi prodotti un solido livello di protezione in molti mercati chiave nel mondo. Alla fine del 2015 gli USA hanno firmato un accordo con gli Stati del Pacifico, cosiddetto TPP o “partenariato trans-pacifico”. Il TPP prevede che i paesi firmatari possano proteggere le IG in futuro, solo dopo un processo di esame a livello nazionale che dà anche terze parti la facoltà di opporsi. In termini concreti per l’UE questo vuol dire che per paesi come Canada e Vietnam, con cui l’UE ha già stretto accordi commerciali, le IG saranno automaticamente protette. In altri mercati come Giappone e Usa, con cui non c’è ancora l’accordo sulle IG, queste dovranno superare la procedura che include la possibilità di opposizione.
Invece di un riconoscimento automatico, terze parti potranno opporsi sulla base di argomenti come la presunta genericità della denominazione o marchi registrati preesistenti. Ma siamo convinti che le autorità dei diversi paesi giudicheranno sulla base delle leggi e non dell’orientamento politico. Ecco perché crediamo che comunque il TPP non costituirà un ostacolo insormontabile per il riconoscimento delle IG europee in quei paesi.
– Qual è lo stato del negoziato USA-UE (TTIP) per le indicazioni geografiche?
Le indicazioni geografiche sono nel TTIP una questione molto caratterizzata in senso ideologico, cioè scatena passioni. Alla luce di questo fatto il negoziato non è avanzato granché sulle questioni concrete. I problemi fondamentali sul tavolo dei negoziatori sono tre. La prima questione è il livello di tutela da dare alle indicazioni geografiche americane nell’UE e a quelle europee negli USA. Secondo elemento controverso sono alcune denominazioni che negli USA sono considerate nomi generici mentre nell’UE sono protette come DOP. Il punto è che i produttori americani non solo utilizzano nomi come Parmesan, Asiago o Feta, ma sulle confezioni mettono riferimenti all’Italia, come la bandiera, o alla Grecia, come il Partenone. Secondo noi la combinazione del nome e di queste evocazioni è veramente dannosa per il consumatore americano.
Terzo problema è quanto di irrisolto resta circa il trattato del 2006 tra UE e USA per il commercio di vino. La categoria di denominazioni “semi-generiche” per 16 vini a indicazione di origine europei, creata a seguito di quell’accordo, va rimossa. Il TTIP può essere un’opportunità per eliminare questa definizione ambigua e dare piena tutela ai vini europei a indicazione geografica, sempre nell’interesse dei consumatori USA.