Missione in Sud America per il Consorzio di Tutela Chianti. In questi giorni, per la prima volta, venticinque aziende associate con 50 diverse etichette sono in tour tra Cuba, Panama, Perù e Colombia. L’obiettivo è incrementare l’export in un mercato ancora poco esplorato ma dalle potenzialità interessanti.
Presidente Giovanni Busi perché il Sud America?
«Si tratta di un’area in sviluppo e in cui il vino Chianti piace. Già da alcuni anni partecipiamo alla Festa dell’Avana a Cuba, dove l’abbinamento con i sigari cubani funziona. Quest’anno abbiamo deciso di allargare la missione perchè ci sono buone potenzialità commerciali e di marketing anche se scontiamo i grandi problemi causati dagli alti dazi doganali e della burocrazia. Spedire dei campioni di vino laggiù è molto complicato ma come Consorzio dobbiamo essere lungimiranti ed esplorare nuovi contesti. Il prossimo anno ci allargheremo anche al Messico, dove andremo la prima volta con le aziende ad approfondire i segnali interessanti che abbiamo raccolto».
Ci sono margini per ridurre i dazi?
«Oggi se vendiamo una bottiglia di Chianti a 4 euro, il prezzo sale subito a 9 euro con i dazi e quindi ancora se aggiungiamo i costi di distribuzione ed altri oneri vari. Il nostro vino diventa troppo oneroso. Le istituzioni europee dovrebbero riuscire a trattare sulle tariffe di importazione. Lo ha fatto l’Angola con il Brasile. Mi domando perché non l’abbiamo ancora fatto anche noi».
Quali altre iniziative p mozionali avete in cantiere nelle prossime settimane?
«L’altro mercato chiave è la Cina e il Sud Est asiatico con il Vietnam, Corea del Sud e Singapore. I15 novembre saremo a Shanghai e poi nel 2017 torneremo ad Hong Kong e Canton. E’ un mercato chiave dove i francesi sono arrivati prima di noi. Per questo dobbiamo recuperare, senza esitare ulteriormente, valorizzando anche i recenti accordi varati dal nostro Governo con il portale online Alibaba. Se ci muoviamo tutti insieme possiamo far crescere la nostra quota di mercato in Cina che attualmente è al 7% contro il 55% della Francia».
La sfida dell’export italiano adesso si chiama valore, ovvero crescere non solo nella quantità esportata ma anche dal lato economico. Ce la possiamo?
«Se imprese ed istituzioni lavorano nella stessa direzione è possibile. Tutto passa dalla possibilità di avere prezzi più competitivi rispetto ai nostri competitor. E’ una sfida sicuramente ardua ma se troviamo le strade giuste per ridurre certi nostri costi di produzione possiamo farcela».
Fonte: La Nazione