Nei giorni scorsi si è assistito prima al sequestro e successivamente al dissequestro da parte dei Carabinieri dei Nac di 500 caciotte (comercializzate col brand “Cacio romano”) prodotte dal caseificio laziale Formaggi Boccea e che riportavano in etichetta il nome “romano”. Ìl prodotto dopo il ricorso presentato dal produttore, affiancato dalla Coldiretti regionale, è stato dissequestrato e restituito insieme alle etichette “incriminate” al caseificio che adesso potrà nuovamente immetterlo sul mercato. Una decisione contro la quale è però insorto il Consorzio del Pecorino Romano DOP. «La decisione dell’ufficio sanzioni del Icqrf-Vico II del Mipaaf è inspiegabile e ci lascia stupefatti – spiega il Presidente del Consorzio di tutela del formaggio DOP Salvatore Palitta che a dispetto del nome è realizzato per il 97% in Sardegna e solo per il 3% nel Lazio, – perché si tratta di un provvedimento a nostro avviso in aperto contrasto non la normativa Ue sulle denoninazioní d’origine».
In sostanza al Consorzio lamentano innanzitutto che il prodotto sia stato dissequestrato «senza vincolo». Cioè secondo il Consorzio il dissequestro doveva essere vincolato alla modifica delle etichette «mentre invece in questo modo il formaggio “romano” potrà essere reimeesso in commercio alle medesime condizioni, pre-sequestro, lasciando così intatto il rischio evocazione di un prodotto DOP come il Pecorino Romano fatte salve le implicazioni di carattere giudiziario».
Un rischio che invece i produttori laziali respingono. «Noi rivendichiamo semplicemente spiega il Presidente della Coldiretti Lazio, David Granieri – l’utilizzo di un marchio aziendale “Cacio romano” registrato da tempo. Più in generale – aggiunge Granieri – noi contestiamo alla radice le strategie dei Consorzio del Pecorino Romano DOP. E in particolare la scelta giustificata da un presunto surplus produttivo – di contenimento della produzione col risultato di mantenere molto basso il prezzo del latte all’origine a danno dei produttori. Noi contestiamo queste scelte innanzitutto perché riteniamo che il surplus produttivo non sia del 40% come denunciato dal Consorzio ma solo dell’8% e pertanto le strategie messe in campo dall’organismo di tutela hanno penalizzato oltre misura i produttori».
Fonte: Agrisole – Il Sole 24 Ore