Un enorme potenziale inespresso da sfruttare in termini di investimenti ed espansione del mercato, in un settore nel quale l’Italia può e deve fare di più. Parliamo del tanto decantato comparto agroalimentare, forte di una selva di piccole e grandi eccellenze industriali e di marchi che rappresentano il biglietto da visita di un intero Paese ma, a ben guardare, lontano dai risultati di Francia, Germania e Spagna sia per quote di export sia per valori assoluti.
Di questo, oltre che di strategie imprenditoriali e di sinergie di breve e lungo periodo con l’universo del credito, si è discusso lo scorso martedì, a Bologna, durante una tappa dell’itinerante “Forum delle economie” targato UniCredit che ha radunato 80 imprenditori e numerosi addetti ai lavori sotto le volte di Fico-Eataly World. Un luogo, questo, dove la cultura del cibo si mescola con il suo commercio, che, in fatto di valore aggiunto annuo, nel 2018 ha pesato sull’economia nazionale per 62 miliardi di euro, pari al 3,9% del nostro Pil.
«Basterebbe questo dato per descrivere l’importanza di un settore straordinario – ha puntualizzato Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo -, ma il tema è il modo in cui altre nazioni del continente riescono a rendere più e meglio di noi con meno frecce al proprio arco, facendo della logistica e dell’organizzazione i punti di forza che qui mancano».
Nonostante le vendite estere dei nostri prodotti agricoli e alimentari, secondo una ricerca dell’Istat, siano cresciute negli ultimi 11 anni dell’80%, per un giro d’affari che lo scorso anno ha superato i 35 miliardi di euro, a fare la differenza in negativo restano infatti le dimensioni ridotte dei soggetti attivi sul mercato, che faticano ad avere accesso alle catene di distribuzione internazionali. Ciò che viene venduto oltreconfine, del resto, pesa per il 23% delle vendite totali per quanto riguarda il Food&Beverage e per il 12% se si parla di agricoltura propriamente detta e, come se non bastasse, Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti assorbono il 51% dei flussi in uscita. Se è vero, come confermato dagli studi portati avanti da UniCredit, che l’agroalimentare ha saputo dimostrarsi resiliente e anticiclico anche durante gli anni più bui della crisi, conviene allora muoversi per allargare i propri orizzonti su scala mondiale.
«La crescita è una prospettiva concreta, a patto di intervenire su infrastrutture e sistemi di trasporto e consegna – è la posizione del co-responsabile di UniCredit per l’Italia, Andrea Casini -, ma soprattutto se sapremo curare il meccanismo delle filiere». Con queste finalità ben chiare in testa, allora, il gruppo bancario con sede a Milano ha siglato 38 accordi di filiera, nel solo ultimo anno, sull’intero territorio nazionale, che si sono affiancati ai crediti per 5,4 miliardi di euro erogati nell’ultimo triennio a beneficio delle aziende del comparto grazie al programma `Coltivare il futuro’. Parallelamente, poi, UniCredit ha varato anche il progetto `Easy export’, capace, attraverso una partnership con il colosso cinese Alibaba, di traghettare le piccole e medie imprese verso le frontiere asiatiche, fornendo consulenze su misura tanto in fatto di e-commerce quanto di marketing e servizi assicurativi».
Fonte: QN